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autodisciplina, contagio, distanziamento sociale, economia, esperti sanitari, governo, malattia, malcontento, Ministro della Sanità, negazionismo, pandemia, precauzione, rimozione collettiva, scuola, sollevazione popolare, trasporti, vaccino, virus
Alcune riflessioni e qualche domanda ai tempi della seconda ondata del corona virus: quasi un diario
29 ottobre 2020
Da alcune settimane è iniziata la seconda ondata di questa pandemia che ha sconvolto da febbraio scorso le nostre vite, dopo averci dato una qualche tregua per alcuni mesi durante l’estate. E tutto lascia presagire che essa sarà peggiore della prima.
La prima, infatti, iniziò quando l’inverno stava finendo e stavamo andando incontro alla primavera: allora l’intiepidirsi del clima sicuramente favorì la mitigazione degli effetti devastanti che aveva assunto a febbraio/marzo la diffusione del virus.
Ora, invece, stiamo andando verso l’inverno, cioè verso un inasprimento delle temperature fredde: il clima ideale insomma perché il virus possa prosperare e proliferare; e il vaccino, unico rimedio radicale per contrastarlo, è ancora lontano dall’essere messo in produzione e utilizzato su larga scala.
E, infatti, la curva della diffusione del contagio, che nei mesi estivi si era quasi appiattita, per cui ci eravamo forse illusi che essa si fosse praticamente arrestata, ha ripreso di nuovo a salire, anzi da tre settimane circa si è addirittura impennata, con una crescita esponenziale della diffusione della malattia.
Questo è il quadro potremmo dire diagnostico attuale. Che provoca immediatamente alcune domande.
La prima, quella che le precede tutte, è: come siamo giunti a questa seconda fase? Che ne implica immediatamente una seconda, sostanzialmente simile alla prima: vi siamo arrivati preparati o impreparati? abbastanza preparati, poco preparati o per niente preparati?
La mia impressione è che vi siamo giunti (tutti, però, più o meno indistintamente, a partire da ciascuno di noi fino ai vertici politici del governo) abbastanza impreparati, soprattutto psicologicamente.
Ci eravamo illusi – diciamoci la verità – che il peggio fosse passato e che, seppure si fosse profilata una nuova risalita della curva epidemica, essa non avrebbe mai raggiunto i picchi di marzo/aprile.
Per cui ci siamo lasciati abbastanza andare, sia a livello individuale che collettivo, allentando (e in alcuni casi abbandonando del tutto) le misure di precauzione e di distanziamento sociale, che invece con buona autodisciplina (quasi generale) avevamo osservato nella fase acuta della primavera scorsa.
Alcuni (pochi) vertici politici (ad esempio, il Ministro della Sanità) e parecchi esperti sanitari (i più avveduti) – anche questo è vero – sono rimasti consapevoli che il problema non si era affatto risolto, che quasi sicuramente si sarebbe ripresentato in autunno; e non hanno mancato in più occasioni di ricordarcelo.
Ma contemporaneamente molti altri, politici al limite del negazionismo e medici primari da strapazzo (possiamo dirlo adesso, senza ombra di dubbio), facevano di tutto per farcelo dimenticare, alimentando in maniera irresponsabile una sorta di rimozione collettiva.
Questo clima socio-psicologico ha finito probabilmente per influenzare (e forse non poco) anche i comportamenti e le scelte del governo nel suo complesso, preoccupato a questo punto più del rilancio dell’economia e di un settore come la scuola, che era stato fortemente penalizzato tra marzo e giugno, che di approntare misure idonee a fronteggiare una ripresa dell’ondata epidemica.
Non è vero – bisogna pur dirlo – che l’esecutivo in questi mesi non abbia fatto niente, come moltissimi oggi ingiustamente (e molti perfino spudoratamente) affermano, sparando a zero contro il governo; e tra i molti metto innanzitutto coloro che nei mesi estivi avevano fatto di tutto per convincerci che il peggio era oramai passato.
E però, forse, anzi sicuramente, non è stato fatto tutto quello che sarebbe stato necessario, soprattutto in tre settori fondamentali, dove oggi si registrano i maggiori problemi: quello sanitario (ovviamente), quello scolastico/universitario e quello dei trasporti.
Gli effetti si vedono oggi chiari e distinti e con essi anche le inevitabili (e forse anche molto prevedibili) reazioni di malcontento, anzi di vera e propria sollevazione popolare (probabilmente solo agli inizi), che sono in questi giorni sotto gli occhi di tutti noi.
© Giovanni Lamagna