Cinque riflessioni sulle elezioni regionali di domenica scorsa
1.Il dato più eclatante di questa tornata elettorale (quello che non solo mette in secondo piano, ma oscura in senso letterale tutti gli altri) è senza ombra di dubbi quello dell’Emilia-Romagna, che vede la vittoria (netta) di Bonaccini e la sconfitta (secca) di Salvini.
Lo si può dire con serenità e pacatezza, senza il timore di enfatizzare un dato che a me personalmente fa molto piacere e minimizzare gli altri negativi che a me personalmente non solo fanno meno piacere ma fanno decisamente dispiacere.
Perché di questo dato lo stesso Salvini aveva fatto il centro della sua iniziativa politica complessiva e non solo della sua campagna elettorale degli ultimi due mesi.
- Il secondo dato importante delle elezioni di domenica mi sembra il seguente: la politica ha vinto sulla demagogia. Almeno in Emilia Romagna. Uguale cosa non è avvenuta in Calabria. Ma le elezioni emiliano-romagnole erano di gran lunga politicamente più importanti di quelle calabresi.
Per “politica” qui intendo la capacità delle forze della rappresentanza di costituire un momento (legittimo, perché previsto dalla Costituzione) di mediazione (quindi di necessaria distanza e fredda riflessione) rispetto alla pura e semplice istanza popolare, che (non sempre, ma spesso) è portata a pensare ed agire di istinto, di pancia, nel migliore dei casi in base alle pure emozioni.
La sconfitta di Salvini in Emilia-Romagna e la vittoria di Bonaccini sono figlie anche della scelta dell’agosto scorso (da parte soprattutto di M5S e PD) di non andare a nuove elezioni, ma di costituire una nuova maggioranza e un nuovo governo.
Senza questa scelta, che avrebbe spalancato le porte ad una vittoria sicura e forse travolgente della Destra in elezioni politiche nazionali, non ci sarebbe stato neanche il (per certi aspetti clamoroso) risultato di ieri in Emilia Romagna.
La vittoria sicura della Destra, se ci fossero state le elezioni politiche nazionali nell’autunno scorso, si sarebbe trascinata quasi sicuramente la vittoria della Destra anche nelle elezioni di ieri in Emilia Romagna.
- Il terzo dato che emerge dalle elezioni di domenica 26 attiene al risultato del M5S.
Che a leggere bene i numeri (quelli dell’Emilia-Romagna e quelli della Calabria, quelli del 2020 e quelli delle elezioni precedenti del 2014), non è omogeneo, bensì articolato, anzi contraddittorio. Di conseguenza è quantomeno ingiusto, perché non corrispondente del tutto alla realtà, parlare di tracollo generalizzato del M5S.
Certo il M5S in entrambe le regioni non ottiene un risultato positivo, soprattutto se riferito non solo a quello delle politiche del 2018, ma anche a quello delle europee del 2019.
E tuttavia, mentre in Emilia-Romagna peggiora il suo risultato rispetto alle precedenti regionali (passando dal 13,26% del 2014 al 3,48% del 2020), in Calabria lo migliora (passando dal 4,90 del 2014 al 7,35 del 2020), che è un segno comunque di una certa vitalità non del tutto estinta del Movimento.
C’è da considerare, inoltre, per quanto riguarda il risultato complessivamente negativo raggiunto dal M5S in Emilia-Romagna, che esso è figlio anche di un’estrema polarizzazione che si è venuta a determinare in questa tornata elettorale tra il candidato del centrosinistra Bonaccini e quella del centrodestra Bergonzoni, mentre in quella scorsa l’elezione di Bonaccini era del tutto fuori discussione.
Per cui è presumibile pensare che molti elettori, che nel 2014 votarono per il M5S, questa volta avranno dirottato il loro voto in direzione del candidato democratico, per non correre il rischio di ritrovarsi come Presidente di Regione la candidata della Lega. In questo modo dimostrando anche una chiara propensione a favore di uno dei due maggiori schieramenti in campo.
Ne deduco che, prima di dare per morto e sepolto definitivamente il M5S, occorra attendere ancora altre scadenze elettorali. Il che non significa ovviamente che il Movimento non stia attraversando una fase di profonda crisi, che potrebbe preludere anche ad una sua prossima estinzione. Significa solo che essa non è ancora avvenuta. E che potrebbe ancora essere evitata, se il Movimento facesse scelte adeguate.
- Il quarto elemento che emerge dalle elezioni di domenica è che la Lega mentre è riuscita, pur senza vincere, a sfondare in Emilia-Romagna, non è riuscita a fare altrettanto in Calabria.
Con questo non voglio dire che non debbano preoccupare i 95.400 voti conquistati dalla Lega anche in Calabria, dove nel 2014 non si era neanche presentata.
Voglio solo dire che la Lega, anche in una regione “particolare” come è la Calabria, forse continua ad apparire ancora come Lega Nord. Ciò che ne impedisce (come è naturale che sia) lo sfondamento al Sud. Almeno per ora.
Deve preoccupare semmai il clamoroso risultato raggiunto dalla coalizione di centrodestra, che in Calabria passa dal 23,58% raggiunto nel 2014 al 55,29% ottenuto nel 2020: più del doppio in termini percentuali.
Che corrisponde in maniera quasi speculare al risultato della coalizione di centrosinistra, che passa dal 61,41% ottenuto nel 2014 al 30,14% ottenuto nel 2010: esattamente la metà in termini percentuali.
Quest’ultimo dato sta a dimostrare che la questione morale è avvertita anche al Sud, anche in una regione come la Calabria. E ha inciso eccome nel risultato elettorale in Calabria, così come aveva inciso in quello umbro.
In altre parole, se la Sinistra si comporta sul piano della moralità come la Destra e alcuni suoi esponenti di spicco finiscono per passare gli stessi guai giudiziari di quelli della Destra, allora l’elettorato (almeno quello più labile e qualunquista) preferisce votare direttamente la Destra: se sono tutti uguali… allora mi adeguo e preferisco, se non altro, trarne qualche vantaggio immediato e personale.
- Il quinto elemento di riflessione, che ci viene offerto dalle elezioni di domenica scorsa, riguarda quella che una volta veniva definita “sinistra radicale” o “antagonista”. Intendendo per “radicale o antagonista” una sinistra che si oppone non solo alla Destra, ma anche allo stesso PD.
I risultati elettorali di quest’area politica, sia in Calabria che in Emilia Romagna, forse mai come questa volta, sono stati chiari, incontrovertibili, quasi spietati.
In Calabria questa sinistra manco si è presentata, consapevole (c’è da supporre) della propria incapacità di ottenere una rappresentanza in Consiglio Regionale.
In Emilia Romagna si è, invece, presentata, ma divisa in ben tre tronconi, ciascuno dei quali ha raccolto percentuali da prefisso telefonico, che messi insieme fanno appena l’1%.
Cosa ci dicono questi dati? Ci dicono, a mio avviso, due cose chiarissime, addirittura eclatanti.
La prima: oggi non c’è spazio a sinistra per chi voglia competere come alternativa al PD. C’è spazio solo per chi si presenta con una lista distinta dal PD, ma in coalizione col PD. Questo oramai è del tutto evidente; almeno nelle elezioni il cui sistema elettorale è fortemente maggioritario.
D’altra parte chi vuole partecipare ad una competizione elettorale non può non tener conto di qual è il sistema elettorale col quale si concorre. Chi non ne tiene conto dimostra di essere politicamente sprovveduto.
Immaginare di partecipare ad una competizione elettorale con sistema maggioritario come se fosse un sistema proporzionale significa non tener conto del campo di battaglia: significa andare coi carri armati in una battaglia navale o con i cacciatorpedinieri in una battaglia che si svolge sulla terra ferma.
La seconda: non basta dire le cose giuste, le cose che (in teoria) difendono gli interessi della maggioranza del popolo, cioè degli elettori, per prendere la maggioranza dei voti. In altre parole non basta dire “Potere al popolo” perché il popolo ti dia il potere. Come pensano, invece, molti esponenti di questa sinistra.
Per prendere la maggioranza dei voti non basta dire le cose giuste. Bisogna anche essere credibili rispetto alle cose che si dice di voler realizzare, essere cioè convincenti rispetto alla possibilità che le cose (giuste in teoria) che si dicono possano poi effettivamente essere realizzate.
Da questo punto di vista, evidentemente, nessuna delle varie sinistre radicali o antagoniste, che si sono presentate in Emilia- Romagna, è stata ritenuta credibile o convincente dal popolo, nel cui nome pure diceva di parlare. Tanto è vero che ha preso percentuali di consenso del tutto irrisorie.
Giovanni Lamagna