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Lettera aperta a Fausto Bertinotti

Caro Fausto,

ho letto attentamente la tua intervista di venerdì scorso a “l’Unità” e condivido (quasi) integralmente tutte le tesi da te ivi sostenute:

 – la necessità per la sinistra di essere “intelligentemente rivoluzionaria;

 – la necessità di impegnarsi nella battaglia delle idee;

 – la necessità di coniugare conflitto di classe con il conflitto di genere (contro la società patriarcale) e con il conflitto per la difesa della natura (contro una nefasta idea di progresso);

 – la necessità di andare oltre il tema politicista delle alleanze, per impegnarsi in una vera e propria impresa culturale e ricostruire le sue fondamenta;

 – la contrarietà alla guerra senza “se” e senza “ma”;

 – la necessità di battersi per un’Europa autonoma e non subalterna agli Stati Uniti, con la conseguenza di superare la Nato.

Le ho condivise tutte, tranne, però, una: quella in cui dici:

Quello che è necessario è un’ideologia. Noi veniamo da una lunga e controversa discussione sull’ideologia. Rifiutata l’ideologia come falsa coscienza, l’eredità migliore della nostra storia sta nella dimensione delle ideologie, che non era affatto una prigione, bensì un campo arato continuamente nel conflitto di classe e nella riflessione teorica su di esso. Questo processo costituente ha trovato la sua forza, quando l’ha avuta, in questo punto fondamentale, che racchiudeva nell’orizzonte complessivo della costruzione della coscienza di classe, sia l’elemento critico analitico sia la capacità di affrontare il tema della trasformazione. Questa dimensione si chiama ideologia.

Rifiutata l’ideologia come falsa coscienza, quella che Gramsci imputava alla borghesia, si trattava e si tratta di costruire una ideologia, cioè una precisa e critica interpretazione del mondo, dei rapporti sociali e delle forze motrici.

Perché non la condivido?

1.Perché la falsa coscienza, in molti momenti della storia, non l’ha avuta solo la borghesia, ma anche il proletariato, il movimento operaio, quando hanno immaginato che il cambiamento rivoluzionario fosse nelle cose, fosse legato all’evoluzione stessa delle forze produttive (in questo Marx ha qualche responsabilità), anzi che fosse dietro l’angolo e, ancora peggio, che dovesse essere condotto da uno Stato guida, l’Unione Sovietica, tra l’altro sotto la reggenza di un feroce, dispotico, paranoico e sanguinario dittatore, Giuseppe Stalin.

2. L’ideologia è stata anche questo; una concezione rigida, fideistica, dogmatica, a tratti anche fanatica della Storia, per giunta, in molti cuori, fondata su un vero e proprio culto della personalità.

In altre parole l’ideologia non è stata solo il “campo arato continuamente nel conflitto di classe e nella riflessione teorica su di esso” o “un pensiero forte, una Weltanschauung, un’idea generale del mondo”, di cui pure parli tu in un altro punto dell’intervista.

Si tratta, a mio avviso (ma questo oramai mi pare sia entrato a far parte dell’immaginario collettivo) di due cose ben diverse.

Una cosa è l’ideologia, cioè un sistema chiuso, rigido, che dà origine a comportamenti fideistici, irrazionali, in molti casi fanatici; per molti aspetti si può dire, ad esempio, che anche le Brigate Rosse avessero un’ideologia forte e, perfino, in non pochi punti corretta e condivisibile; ma, appunto, la loro era un’ideologia.

Altra cosa è il pensiero forte, una idea, anzi una visione generale del mondo, la Weltanschauung, che, pur fornendo una teoria e quindi un orientamento solido all’azione, cioè alla prassi, sono e restano sistemi connaturatamente aperti e sempre soggetti a revisioni e autocritiche, per loro indole mai inclini ai fideismi, ai dogmatismi, ai fanatismi.

A mio avviso, pertanto, ci conviene eliminare dal nostro vocabolario la parola “ideologia”, come conviene eliminare quella di “comunismo”.

Non perché si tratta di negarne le valenze (non solo teoriche, ma anche storiche) positive, ma perché sono diventate parole usurate, logore, che nell’immaginario collettivo oggi, al di fuori di esigue e residuali minoranze, suscitano rigetto e non impulso al moto rivoluzionario che tu prospetti, auspichi e che io condivido.

Vedo con piacere che la seconda parola (“comunismo”) in questa intervista tu l’hai evitata; e, secondo me, hai fatto bene.

Anche perché la parola evoca inevitabilmente Marx, è indissolubilmente legata al suo pensiero; mentre tu giustamente affermi, perché ne sei convintamente consapevole, che oggi non basta tornare a Marx (che resta un ancoraggio imprescindibile), ma che bisogna andare “oltre Marx”.

E, inoltre, è una parola che è difficile non associare a quella di “dittatura”, per quanto del proletariato; e, dunque, indigeribile per chi ritiene che l’obiettivo dell’uguaglianza (non solo formale) debba essere perseguito sempre assieme a quello della libertà (anche formale).

Avresti fatto bene – secondo il mio modesto parere – ad evitare anche la prima parola (“ideologia”); non – ripeto – per negarne la sostanza positiva e ancora valida, ma per sostituirla con altre meno usurate e logore: – pensiero forte; – visione del mondo; – teoria generale; – Weltanschauung, che meglio possano attrarre l’immaginario collettivo odierno.

Ti ringrazio dell’attenzione e ti saluto cordialmente,

Giovanni Lamagna