Tag
"socialismo o barbarie", Adriano Olivetti, affidamento, Africa, alternativa, America latina, Asia, banche etiche, bioeconomia, capitalismo, Chiara Lubich, Christian Felber, commercio equo e solidale, comunismo, credito, decrescita, economia comunitaria, economia del bene comune, economia di comunione, economia partecipativa, economia solidale, Gandhi, GAS (Gruppi di Acquisto Solidale), Islam, Jurgen Habermas, Karl-Otto Apel, Mancini, Margaret Thatcher, Michael Albert, Nicholas Georgescu-Roegen, pensiero comune, Peter Ulrich, possesso, produzione e distribuzione a KM0, proprietà, relazioni di dono, Serge Latouche, sinistra, socialismo, storia, TINA, trusteeship., uso
3.2. E’ realistica l’idea di un’alternativa al capitalismo?
Non ci sono dubbi e non voglio evadere il problema: una cosa è affermare la possibilità puramente teorica di un’alternativa (o di più alternative) al capitalismo; altra cosa è rintracciare già nella realtà presente indizi, possibilità concrete, visibili (e non solo astratte, teoriche) di questa alternativa.
Per cui, a questo punto, una obiezione sorge spontanea: come fa Mancini a dire che sono possibili delle alternative al capitalismo?
Soprattutto come fa a dirlo oggi che il pensiero capitalista sembra essere diventato una sorta di pensiero comune, anzi unico, che ha pervaso di sé anche la cultura e i programmi di quelli che una volta erano i soggetti politici che si richiamavano (e in alcuni casi ancora lo fanno tuttora) alla sinistra e perfino al socialismo, se non al comunismo?
Come si fa, insomma, a sostenere che siano possibili delle alternative al capitalismo oggi che il pensiero in gran parte prevalente è che non ci siano alternative al capitalismo (la famosa TINA – there is no alternative – di Margaret Thatcher)?
La risposta Mancini la trova nel fatto che nella storia (parliamo della storia dell’ultimo secolo, non solo di quella antica) si sono avute (e in alcuni casi ancora persistono) esperienze che si rifanno ed hanno cercato di praticare logiche completamente diverse da quelle a cui si ispira il capitalismo.
Mancini ne enumera ben otto:
- quella basata sulle relazioni di dono e presente in società e contesti geoculturali molto distanti dal nostro, soprattutto in Africa, in Asia e in America latina;
- l’esperienza gandhiana della trusteeship, che mira a trasfigurare il concetto di proprietà in quello di affidamento, con il primato dato all’uso anziché al possesso;
- la concezione islamica di un sistema economico alternativo a quello occidentale, a partire da un ripensamento del credito;
- l’economia comunitaria teorizzata da Adriano Olivetti e praticata nelle aziende di sua proprietà;
- la bioeconomia fondata da Nicholas Georgescu- Roegen, da cui prende ispirazione anche il movimento della decrescita di Serge Latouche;
- l’economia di comunione ideata e praticata dal movimento cattolico dei focolarini, fondato da Chiara Lubich;
- l’economia del bene comune, fondata dal pensiero dell’austriaco Christian Felber;
- infine l’economia solidale (di cui sono espressione il movimento del commercio equo e solidale, le banche etiche, i GAS – Gruppi di Acquisto Solidale -, le esperienze di produzione e distribuzione a Km 0) e l’economia partecipativa, teorizzata da pensatori tedeschi quali Peter Ulrich e Michael Albert, anche sulla base del discorso elaborato da filosofi quali Karl-Otto Apel e Jurgen Habermas.
Se queste esperienze si sono realizzate, sembra dire Mancini, se anzi alcune di esse sono ancora vive e in fase di attuazione, vuol dire allora che esse sono possibili, non solo ipotesi teoriche.
Certo, ci sarà da discutere se esse potranno realizzarsi su larga scala e se potranno mai diventare egemoni e sostituire il capitalismo come sistema economico sociale dominante. Ma non si potrà dire che esse sono del tutto impossibili e che al sistema capitalistico non sono neanche ipotizzabili delle alternative.
Questa tesi di Mancini è anche la mia. Con una piccola aggiunta, che mi sembra però importante.
E’ vero che oggi il capitalismo vive di un’egemonia indiscussa e che la sua ideologia da alcuni decenni sembra essere diventata “pensiero comune”, anzi “pensiero unico”. Però è anche vero, allo stesso tempo, che la sua crisi, oggi come forse mai, è sotto gli occhi di tutti.
Basti citare due fattori di questa crisi: 1) l’incapacità di tenere costanti i ritmi della produzione e quindi i tassi di occupazione; 2) l’incapacità di tenere sotto controllo i disastri ambientali, nonostante le buone intenzioni, dichiarate a parole, ma disattese puntualmente nei fatti.
Per cui la vecchia questione che si poneva una volta del “socialismo o barbarie” si pone oggi con ancora maggiore urgenza e attualità.
Anche se io la porrei in questi altri termini, un po’ più aggiornati, meno sloganistici e più articolati: o l’Umanità riesce a superare il capitalismo e a realizzare un sistema economico-sociale più a dimensione d’uomo o precipiterà su una china di inesorabile barbarie, se non di vera e propria autodistruzione.
E’ questo l’argomento decisivo, a mio avviso, che pone all’ordine del giorno la questione del superamento del sistema capitalistico e, prima ancora, della sua ideologia.
Giovanni Lamagna
(continua,10)