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Alcune riflessioni e qualche domanda ai tempi del corona virus: quasi un diario(5)
11 aprile 2020
Quelli della Destra, ma anche quelli del M5S, non vogliono i soldi che l’Europa ci metterebbe a disposizione col MES (per quanto senza condizioni; almeno così sembra; tutto da verificare, però…).
Ma non vogliono neanche una qualsiasi forma di patrimoniale sui redditi medio-alti: per loro sarebbe un mettere le mani nelle tasche degli italiani (ricchi).
E, però, poi vogliono aiutare le imprese economiche in difficoltà a ripartire, vogliono sostenere coloro che non hanno più reddito o lo hanno del tutto insufficiente… vogliono un sacco di cose…
Dicessero allora con quali soldi intendono far ripartire l’Italia dopo questo disastro (anche economico, oltre che sanitario) del corona virus.
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Salvini e Meloni sbraitano contro il capo del governo Conte perché costui (nella conferenza stampa convocata per comunicare all’opinione pubblica i risultati del confronto tra i ministri economici dei 27 paesi europei sul modo di affrontare la crisi generatasi con l’epidemia del corona virus) ha attaccato duramente l’opposizione approfittando della larga eco massmediatica che avrebbe avuto il suo intervento (praticamente tutte le reti televisive erano in quel momento collegate per riprendere la conferenza stampa di Conte).
Ora nella forma hanno probabilmente ragione. Conte in una fase come questa (nella quale andrebbe cercata una certa unità nazionale, quantomeno mantenendo toni bassi tra maggioranza ed opposizione) avrebbe potuto evitare l’attacco frontale ai due leader rivali, chiamati in causa con nome e cognome.
Salvini e Meloni dovrebbero però ricordare che appena pochi giorni fa essi hanno dato la piena solidarietà al capo del governo ungherese Victor Orban, il quale si era fatto dare i pieni poteri dal suo Parlamento, con forti limitazioni all’agibilità politica dell’opposizione e persino alla libera espressione della stampa.
Si mettessero allora d’accordo con se stessi gli onorevoli Salvini e Meloni. Per loro non va bene in Italia quello che, invece, va bene in Ungheria, dove governa un loro amico politico?
Si rendono conto gli onorevoli Salvini e Meloni che, se essi fossero i leader delle opposizioni in Ungheria, oggi non potrebbero parlare per accusare il governo e (molto probabilmente) nemmeno i giornali loro vicini potrebbero pubblicare le loro tesi?
Ma soprattutto si rendono conto gli italiani che, se oggi al governo al posto di Conte avessimo avuto la Meloni e Salvini, avremmo anche in Italia quello che Orban ha realizzato in Ungheria, cioè un governo con pieni poteri? Altro che governo Conte!
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14 aprile 2020
Nel suo ultimo articolo, pubblicato il giorno di Pasqua su “la Repubblica”, Massimo Recalcati parlava di tre fasi dell’angoscia che ci ha preso e ancora ci prende in questi giorni terribili.
La prima fase è stata quella legata alla paura del contagio, che ci ha portato a vivere l’altro come potenziale pericolo e, quindi, in un certo senso, nemico: un vissuto di natura persecutoria.
La seconda fase dell’angoscia è stata legata alla privazione della libertà: una sorta di lutto collettivo, “niente sarà più come prima”: un’angoscia dal vissuto pseudo-depressivo.
Adesso – dice Recalcati – stiamo per entrare o siamo già entrati in una terza fase dell’angoscia: l’angoscia di dover convivere con il virus e, quindi, col pericolo costante.
Questa angoscia nasce dalla consapevolezza che non si può rimanere fermi, reclusi, confinati in casa, a tempo indeterminato. E che il ripartire però non può avvenire a guerra totalmente finita, quindi lontani da ogni rischio/pericolo.
L’invito di Recalcati sembra essere, se ho capito bene, quello di vincere o, meglio, superare questa angoscia, sulla base di quello che diceva Jung: ““Là dove è più grande la paura, questo è il nostro compito”.
Ora io non ho obiezioni sostanziali a questo ragionamento di Recalcati. Penso anch’io che prima o poi (più prima che poi) una riapertura alla vita debba avvenire, seppure esponendosi fatalmente a qualche rischio.
Dico però che il rischio dovrà essere calcolato. Affrontare un rischio presuppone innanzitutto il calcolo dei costi/benefici e poi le opportune e adeguate misure di prevenzione e cautele per difendersi dai pericoli che il rischio comporta. Fare altrimenti non è affrontare un rischio, ma è andare allo sbaraglio, è pura avventatezza, esposizione al disastro certo, a un disastro annunciato.
Cosa voglio dire? Questo. Anche Gaël Giraud, un importante economista francese, in un articolo molto interessante comparso qualche giorno fa sulla “Civiltà cattolica”, “Il ritorno dello Stato Sociale”, ha invitato ad aprire quanto prima una fase di liberazione dall’attuale contenimento dei rapporti sociali, al più tardi tra qualche settimana.
Però Gaël Giraud ha aggiunto pure che: “Prendere questo rischio collettivamente ha senso … solo a una condizione: applicare, questa volta, la strategia adottata in Corea del Sud e a Taiwan (*) con il massimo rigore. Il tempo che stiamo guadagnando chiudendoci in casa dovrebbe servire per:
- riportare R0 (che probabilmente era circa 3 all’inizio del contagio) il più vicino possibile a 1;
- incoraggiare la riconversione di alcuni settori economici, per produrre in serie i ventilatori polmonari di cui ora hanno bisogno le terapie intensive per salvare vite umane;
- consentire ai laboratori occidentali di produrre subito apparecchiature e materiali di screening, mentre si organizzano per realizzare in poche settimane il sistema necessario. Al momento ci sono due enzimi, in particolare, le cui scorte sono molto insufficienti, e quindi limitano la nostra capacità di effettuare screening;
- produrre le mascherine di protezione, essenziali per frenare la diffusione del virus quando lasciamo la nostra casa.
Se porremo fine al nostro confinamento collettivo quando i nostri mezzi di rilevazione non saranno pronti o mancheranno le mascherine, correremo nuovamente il rischio di una tragedia. Sfortunatamente, oggi è impossibile misurare R0. Pertanto, dobbiamo attendere fino a quando non saremo organizzati per lo screening e pianificare l’uscita ordinata dalla quarantena il più rapidamente possibile.
Cosa succederà a quel punto? Coloro che vengono «liberati» devono essere sottoposti a screening sistematico e indossare le mascherine per diverse settimane. Altrimenti, l’uscita dal confinamento avrà un esito peggiore di quello dell’inizio della pandemia. Coloro che sono ancora positivi verranno quindi messi in quarantena, insieme al loro entourage. Altri possono andare a lavorare o riposare altrove. I test dovranno continuare per tutta l’estate per essere sicuri che il virus è stato sradicato all’arrivo dell’autunno.”
Ecco, queste indicate con molta precisione da Gaël Giraud sono (anche per me) le condizioni indispensabili per affrontare in modo calcolato, cioè ragionevole e non avventato, il rischio necessario col quale bisognerà convivere da oggi in poi e di cui parlava nel suo articolo di domenica scorsa Massimo Recalcati.
© Giovanni Lamagna
*Nella Corea del sud e a Taiwan i danni causati dal corona virus, soprattutto in termini di perdite di vite umane, sono stati molto minori rispetto ai paesi che hanno fronteggiato l’epidemia innanzitutto e soprattutto con la misura del distanziamento sociale.