Tag
"la Repubblica", Davide, democrazia, diplomazia, dittatura, equidistanza, Europa, forza del desiderio, geopolitica, giustizia, Golia, guerra, ideologia, informazione, invasione, Manconi, Nato, propaganda, psicoanalisi, Putin, Recalcati, Russia, sinistra, sopruso, Stati Uniti, Ucraina, Zelensky
Riporto qui di seguito l’articolo di Massimo Recalcati, comparso su “la Repubblica” del 19 marzo scorso, a dimostrazione esemplare del livello di dibattito in corso sui nostri organi di “informazione”, che si sono trasformati in questi ultimi giorni, almeno nella loro grande maggioranza in veri e propri “organi di propaganda bellica”.
E la mia replica, che, sia pure in tono confidenziale, visto che Recalcati mi onora della sua amicizia, ribatte punto per punto ed in modo fermo e franco, ma (spero) non astioso, agli argomenti da lui esposti.
…………………………………..
Le incrostazioni dei né – né
di Massimo Recalcati
Alcuni tra i più grandi esperti di geopolitica sembrano essere d’accordo nel condannare la guerra scatenata da Putin e nel ritenere senza speranza la resistenza ucraina. La sproporzione delle forze in campo non lascerebbe dubbi sulle sorti del conflitto. Dunque meglio arrendersi subito e lasciare il campo alla diplomazia che prolungare la carneficina (come se sfuggisse il nesso evidente tra le sorti delle trattative e l’importanza della resistenza militare ucraina). Ne consegue che per alcuni di loro Zelensky sarebbe colpevole (quanto Putin?) di esporre il proprio popolo ad una carneficina insensata invece di arrendersi accettando le condizioni di pace imposte dal Cremlino. Questo ragionamento è condiviso anche da una certa sinistra nel nome del pacifismo: prima una guerra si interrompe prima si arrestano le morti. Peccato però che il “né né” non può essere rifiuto di prendere le parti della Nato o della Russia perché Ucraina oggi non coincide con la Nato, ma con le vicissitudini di un popolo che rivendica con decisione e legittimità il suo diritto a non essere sottomesso. Tuttavia il discorso che reclama la fine immediata della guerra non sembra fare una grinza.
Ma la grinza c’è ed è qualcosa che può sfuggire anche alle più sottili analisi geopolitiche. In psicoanalisi si chiama forza del desiderio e, al di là dell’espressione forse un po’ retorica, concerne una dimensione della potenza che non è primariamente militare. Ne abbiamo diversi ritratti, anche mitici. Uno tra i più noti è quello biblico di Davide che sfida il gigante filisteo Golia. Ricordiamo le parole minacciose con le quali questi si rivolge con arroganza al gracile pastore: “Fatti avanti e darò le tue carni agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche”. Non è difficile cogliere qui la prossimità del suo gergo con la più recente retorica putiniana. Ma Davide non arretra, né si lascia intimorire. E non sarà solo la scelta tattica della fionda a determinarne la vittoria.
C’è sempre in ogni lotta un fattore supplementare che esorbita le capacità militari e le arti strategiche. Non perché queste non siano necessarie per vincere (“dateci armi, non consigli!”, supplica Zelensky i suoi alleati), ma la forza di Davide è innanzitutto nella sua nuda fede, è davvero la forza indomabile del suo desiderio. È quello che forse Putin ha maggiormente sottovalutato. È quello che attraversa gli individui e i collettivi ogni qualvolta la decisione di combattere non è subita, imposta, genuflessa ad una causa estranea, ma scaturisce da un profondo sentimento di giustizia e di rifiuto del sopruso.
Questa forza è l’incalcolabile di questa guerra, la grinza che disfa i discorsi più lineari. I volti spauriti dei giovanissimi soldati russi fatti prigionieri non denunciano solo l’inadeguatezza militare dell’esercito di Putin, ma rivelano anche la ferocia fascista del suo regime: la menzogna situata sistematicamente al posto della verità. Ma, come noi invece, diversamente da quei poveri soldati, sappiamo bene, non si tratta né di un’esercitazione, né di un’operazione speciale di denazificazione di un territorio di confine, ma di una vera e propria guerra di invasione contro uno Stato sovrano e indipendente.
Questi ragazzi sono vittime dell’inganno dell’ideologia, simili in questo a quelli delle varie gioventù miliziane tipiche di tutti i regimi totalitari. Solo che in questo caso non abbiamo traccia di fanatismo, ma soltanto di paura. La Russia di Putin non è l’Unione Sovietica di Stalin. Questi ragazzi, in fondo, non solo mancano della formazione necessaria per combattere al fronte, ma non sanno nemmeno dove sono e per cosa combattono. L’accusa che una certa sinistra rivolge a Zelensky di non arrendersi non coglie questo punto elementare: un intero popolo di uomini e di donne si rivolta con la potenza della loro nuda fede contro l’oppressore non perché segue fanaticamente il suo leader, ma perché non vuole rinunciare alle sue libertà democratiche e alla sua identità. Il vero terrore di Putin non sono, infatti, le armi della Nato sul suo confine, ma l’incubo altamente contagioso della democrazia.
In questo senso la sinistra ideologica e populista – quella che Manconi ha recentemente definito come “sinistra autoritaria” – che non si schiera apertamente a fianco della resistenza del popolo ucraino, invocando la retorica del “né né”, perde l’occasione per mostrare la sua adesione alla democrazia contro ogni forma di dittatura, ivi compresa quella del popolo che, come sappiamo, è purtroppo una matrice archetipica, difficile da estirpare, della sua storia.
L’invocazione artefatta della “complessità” contro la sterile propaganda di coloro che vorrebbero distinguere senza indugi la democrazia da altre forme autoritarie di governo, l’equiparazione tra la democrazia americana e l’autocrazia putiniana, la critica alla Nato e all’Europa che finisce per attenuare di fatto le responsabilità criminali della Russia di Putin e del suo regime nell’avere provocato questa guerra, insomma tutta la retorica variegata dell’equidistanza, rivelano, in realtà, delle incrostazioni mnestiche profonde della sinistra ideologica e populista che le impediscono di aderire sino in fondo alla cultura della democrazia.
da “la Repubblica” del 19 marzo 2022
………………………………..
La mia replica, sotto forma di lettera aperta
Caro Massimo,
non so se ne vale la pena, ma provo a interloquire con gli argomenti che porti nel tuo articolo del 19 marzo u.s. su “la Repubblica”.
Lo faccio per punti, seguendo il filo del tuo ragionamento.
1.Inizi con un riferimento ad “alcuni dei più grandi esperti di geopolitica”, i quali, come tu dici, data la “evidente sproporzione delle forze in campo”, consigliano all’Ucraina “di arrendersi subito e lasciare il campo alla diplomazia”.
A me questo degli “esperti” (tra cui alcuni militari di alto grado) sembra un ragionamento del tutto sensato, perché fondato sul “principio di realtà”, al quale uno psicoanalista (forse ancora più degli esperti di geopolitica) dovrebbe essere particolarmente sensibile.
Invece, a tuo dire, non solo a me (che non sono nessuno) ma anche ai “grandi esperti di geopolitica” sfuggirebbe “il nesso evidente tra le sorti delle trattative e l’importanza della resistenza ucraina”.
Mi piacerebbe capire a quale nesso ti riferisci? Al fatto che la resistenza ucraina potrebbe rallentare l’occupazione russa e quindi elevare il potere contrattuale degli ucraini nelle trattative coi russi? Se fosse così, ti pare che il gioco valga la candela?
A me no, a te sì. Ma qui siamo nel campo dell’opinabile; e non presumo certo di farti cambiare opinione.
Chiederei però a te una maggiore prudenza e meno enfasi nell’argomentare; in fondo ti stai confrontando con “alcuni tra i più grandi esperti di geopolitica” e non con quei folli, ultrapacifisti ideologici e utopisti, di “una certa sinistra”.
2. Alla quale però poi rimproveri di essere d’accordo con “gli esperti di geopolitica”, i quali ragionerebbero solo in nome del cinico realismo politico.
E allora qui bisogna mettersi d’accordo; e questa mia riflessione non si riferisce solo a te, ma anche a te: quella “certa sinistra” a cui alludi tu è innamorata della Causa in maniera ideologica, come spesso le contesti, o è troppo (fin troppo!) realista e trascura dimensioni fondamentali, che sfuggono al puro realismo terra-terra degli “esperti di geopolitica”?
3. Dimensioni a cui, invece, sembri sensibile tu, che, come psicoanalista, sei capace di cogliere, mentre sfuggono “alle più sottili analisi geopolitiche”.
In altre parole tu sembri sicuro che anche questa volta (ma quante volte questo è capitato nella Storia?) Davide sconfiggerà Golia, grazie alla forza del suo desiderio.
Io, che non ho certo gli strumenti analitici che hai tu, ma ho qualche piccola conoscenza di storia, avendola insegnata per più di 30 anni a scuola, mi permetto di nutrire qualche dubbio; e neanche tanto piccolo.
Mi piacerebbe che non dico avessi pure tu gli stessi miei dubbi, ma quantomeno non avessi tutte le certezze che io non ho.
4. Per te è del tutto chiaro ed evidente che Putin è il Male assoluto e che Zelensky al contrario è il Bene assoluto; posso ben dirlo, visto il modo come parli di quest’ultimo (“nuda fede”, “forza indomabile del suo desiderio”, “profondo sentimento di giustizia e di rifiuto del sopruso”).
Io questo quadro, così manicheo, che hai dipinto tu, non riesco a condividerlo. E non certo perché pensi che le ombre e le luci e, meno che mai, le responsabilità in quello che sta succedendo oggi in Ucraina vadano equamente distribuite tra il capo russo e quello ucraino.
Di Putin penso malissimo, come te; ma, in base ai dati di conoscenza in mio possesso e al contrario di te, non riesco a pensare benissimo di Zelensky e del personale politico e militare ucraino che lo circonda.
Soprattutto non capisco perché la denigrazione (sia chiaro, pienamente giustificata e del tutto condivisibile) del primo debba comportare l’esaltazione acritica del secondo (non saprei definirla con un’altra parola) come quella che ne fai tu.
5. Fai riferimento ai “volti spauriti dei giovanissimi soldati russi”. Può darsi che le (poche) immagini trasmesse dagli ucraini e riportate come fonti del tutto attendibili da gran parte del sistema informativo occidentale lo siano effettivamente.
Ma potrebbe anche darsi il contrario, che siano cioè immagini di propaganda, come succede sempre quando due eserciti si combattono. A te non viene nessun dubbio in proposito?
A me sì. Certo, non ho le prove per dire che si tratta di “falsi”! Ma come fai tu ad essere così certo che non lo siano?
6. Sicuramente, come dici tu, la Russia non è un modello di democrazia. Non è forse dal punto di vista tecnico un regime assolutamente totalitario come lo definisci tu. Ma di sicuro non è un modello di democrazia, per come anche io intendo la democrazia.
Mi risulta però che neanche l’Ucraina lo sia, al contrario di come la descrivi tu. Come non lo sono del resto neanche alcune delle ex repubbliche socialiste dell’Est, che oggi stanno nell’orbita della Nato e (alcune) fanno parte persino dell’Europa (vedi Polonia e Ungheria).
Non mi sembra che un buon criterio per distinguere gli stati autenticamente democratici da quelli non democratici sia quello della parte con cui stanno schierati: se stanno con gli Stati Uniti, la Nato e l’Europa sono sicuramente democratici, altrimenti sono sic et simpliciter “regimi totalitari”.
7. Non ho letto l’articolo, nel quale “Manconi ha recentemente definito come sinistra autoritaria” (e, tu aggiungi, “ideologica e populista”) la sinistra che non si schiera “senza se e senza ma” a fianco della resistenza del popolo ucraino. Ma sicuramente non condivido le motivazioni con cui sia Manconi che tu la ingiuriate con tali pesanti aggettivi.
Innanzitutto perché gran parte di questa sinistra (al contrario di quello che le attribuite voi) ha preso una posizione netta, senza se e senza ma, contro l’invasione russa dell’Ucraina.
In secondo luogo, il fatto che questa sinistra non condivida le scelte del governo Draghi in questa vicenda significa che ipso facto questa sinistra è ancora incerta nella scelta tra democrazia e dittatura e che abbia ancora nostalgia della dittatura del popolo?
A me questa conclusione sembra di una banalità e di una ingenerosità sconvolgenti; ne dovrei dedurre che allora, ai vostri occhi, la Meloni e Salvini sono più democratici di un Fratoianni e di un Vendola o di un Tomaso Montanari?
Faccio molta fatica a prendere atto che una persona così colta e analitica come te possa arrivare a giudicare persone e soggetti politici con tali criteri, così semplificatori, sommari e manichei.
8. Per te il richiamo alla categoria della complessità (che pure tu utilizzi spesso nelle tue riflessioni) diventa in questo caso una pura “invocazione artefatta”, le critiche agli Stati Uniti, all’Europa e alla Nato attenuano “di fatto le responsabilità criminali della Russia di Putin”, addirittura le scelte in questa drammatica vicenda di “una certa sinistra”, sommariamente apostrofata come “ideologica e populista”, dimostrerebbero la persistenza di “incrostazioni mnestiche profonde” che impedirebbero a questa sinistra “di aderire sino in fondo alla cultura della democrazia”.
Rinuncio al tentativo di dimostrare il contrario, dal momento che mi appare clamorosamente plateale il settarismo di questi argomenti, sostenuti con siffatta apoditticità.
Faccio solo notare che alla Causa della ideologia e del populismo (in questo caso tutta da dimostrare) tu, come del resto molti altri, tra cui Manconi, rispondete con il richiamo duro, che non consente indugi e titubanze, a schierarsi per un’altra Causa, quella della democrazia, della libertà e della dignità che starebbero solo da una parte mentre verrebbero offese solo dall’altra.
Alla faccia dell’antideologismo, della laicità e della pluralità del pensiero!
In nome del bellicoso slogan (per nulla autoritario, per carità!), che potrebbe, mi pare, ben riassumere le tesi contenute nel tuo articolo “chi non è con me è contro di me”, perché sta dalla parte del mio avversario.
Giovanni Lamagna