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Aldo Moro, borghesia, capitalisti, CEE, centrosinistra, compressione salariale, Costituzione, emigrazione, Federico Caffè, Germania, Guido Carli, Gunnar Myrdal, inflazione, Keynes, miracolo economico, occupazione, operai, partecipazioni statali, PCI, privato, pubblico, sindacati, Thomas Fazi
15 aprile 2023
Federico Caffè non aveva molto in simpatia il sistema delle partecipazioni statali, perché secondo lui “non favoriva la divisione netta, che egli auspicava, tra ciò che si ritiene debba essere pubblico (e che dovrebbe operare in base a logiche diverse da quelle di mercato) e ciò che invece si ritiene debba essere privato.” (pag. 81)
Ovviamente non vi era contrario; ne riconosceva i vantaggi che aveva apportato all’economia del Paese; era però convinto che questi vantaggi sarebbero potuti essere ancora maggiori, se il sistema avesse assunto caratteri ancora più radicali, come egli auspicava. (pag.81)
Caffè critica altresì la retorica autocompiaciuta sul cosiddetto “miracolo economico italiano” degli anni 50 e 60.
Perché basato in larga parte sulla compressione salariale, sulla rigida disciplina nelle fabbriche, sulla debolezza dei sindacati e sulla emigrazione sia dal sud verso il nord che dall’Italia verso l’estero. E soprattutto sulla esportazione dei nostri prodotti all’estero, che era la causa principale dei bassi salari. (pag. 81-82)
D’altra parte lo stesso ingresso dell’Italia nella CEE fu fortemente voluto e sostenuto da Confindustria italiana, in quanto tale entrata avrebbe imposto regole di natura fortemente mercantilista alla nostra economia, ostili quindi ad ogni ipotesi di ispirazione keynesiana. (pag. 83)
Caffè ne era pienamente consapevole, tanto è vero che condivise il giudizio di altri insigni economisti, quali Gunnar Myrdal, secondo i quali il mercato comune avrebbe significato un ritorno al “lasciar fare”, un consolidamento delle posizioni imprenditoriali, il predominio economico della Germania, scarso sostegno all’occupazione. (pag. 84)
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17 aprile 2023
La scelta (economica) della borghesia italiana del dopoguerra a favore di un modello di sviluppo basato su bassi salari faceva pendant (politico) con la conventio ad excludendum da parte dei partiti centristi nei confronti dei partiti di sinistra, in particolare del PCI. (pag. 84)
In questa logica un ruolo centrale lo svolse il governatore della Banca d’Italia nel periodo 1960-1975, Guido Carli, che, nel conflitto di classe tra operai e capitalisti, ammetteva candidamente di stare dalla parte di questi ultimi. (pag. 84-85)
Alle scelte già fortemente moderate delle classi dirigenti italiane si sovrapponevano e davano loro man forte le richieste del Consiglio dei ministri della CEE, a favore di ulteriori misure antinflazionistiche, con tagli alla spesa pubblica e agli investimenti, aumenti delle imposte, innalzamento di alcune tariffe, restrizione del credito, tassazione dei redditi e contenimento dei salari. (pag. 85-86)
Non a caso il governo di centrosinistra presieduto da Moro nel 1964 fu costretto a dimettersi, sancendo la fine della portata innovativa di quell’esperimento politico. (pag. 86-87).
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19 aprile 2023
1.Il sistema economico italiano del primo dopoguerra si fonda su un “modello di sviluppo mercantilistico”;
2. “mancata integrazione delle istanze sociali ed operaie”;
3. effetto: “enorme ciclo di conflittualità industriale sociale che esplose nel 1968-69”;
4. il vincolo esterno europeo viene utilizzato come strumento di stabilizzazione del sistema di cui sopra;
5. Caffè rimprovera ai decisori politici (ma anche alle sinistre) del dopoguerra “di disattendere sistematicamente tanto gli insegnamenti di Keynes quanto i valori della nostra Costituzione”; (pag. 87)
6. viene data priorità “al pericolo inflattivo rispetto ai drammatici problemi dell’occupazione e delle fasce più deboli” … “all’equilibrio della bilancia dei pagamenti e più in generale ai problemi monetari e valutari rispetto a quelli dello sviluppo sociale” (pag. 88)
7. “… adesione acritica dell’Italia alle istituzioni comunitarie e internazionali”;
8. nel mercato comune europeo si afferma inevitabilmente il predominio della Germania; (pag. 89)
9: il mercato comune europeo diventa uno strumento di cui le grandi industrie transazionali si servono per rafforzare e difendere i propri interessi costituiti; (pag. 90)
© Giovanni Lamagna
(continua 2)