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9 novembre 2016

Sulla vittoria di Trump in America.

Da tempo sostengo che le culture politiche (quella liberale, quella socialista/comunista e quella popolare cristiana) che hanno dominato la storia dell’Europa del XIX e del XX secolo sono tramontate. E definitivamente.

Adesso, con l’elezione di Trump a Presidente degli Stati Uniti, possiamo dire che analogo processo si sia affermato e concluso anche in quella nazione. Le culture politiche che stavano dietro il Partito Repubblicano e il Partito Democratico, vecchie di più di due secoli, sono definitivamente morte.

Trump era solo nominalmente il candidato del Partito Repubblicano. In realtà egli è l’espressione di una nuova cultura politica. Rozza, improvvisata, banale, ma indubbiamente nuova, nel senso di estranea agli apparati dei partiti tradizionali.

Qualcuno potrà dire: ma come fai a sostenere che la cultura politica di Trump è nuova, se è apertamente reazionaria? A questa obiezione rispondo: si può essere nuovi e allo stesso tempo reazionari. Anzi questa è la migliore dimostrazione di un’altra tesi, che è una controprova della prima: non tutto ciò che è nuovo è di per sé avanzato, realmente innovatore, progressista.

Un’altra domanda che mi potrebbe essere posta è questa: ma perché, in presenza di una crisi dei due partiti tradizionali americani, ha vinto l’ultradestra e non uno schieramento di sinistra radicale?

La mia risposta è molto semplice: ha vinto l’ultradestra, perché quando è in atto una crisi generale della società (una crisi delle culture egemoni, ma prima ancora una crisi degli assetti economici e quindi dei rapporti tra le classi e i ceti), il primo sbocco, il più naturale è quello regressivo, che viene dalla pancia, cioè dagli istinti, dagli spiriti animali della popolazione.

Uno sbocco a sinistra richiede al contrario livelli di consapevolezza addirittura maggiori di quelli precedenti, una nuova cultura realmente alternativa e più avanzata, la cui vittoria ed egemonia richiedono tempi inevitabilmente più lunghi. Per questo in una fase di crisi generale e profonda è molto più facile che in prima battuta vinca la destra radicale anziché la sinistra radicale.

Il punto è che, se la sinistra nel suo complesso non prende consapevolezza della necessità di elaborare questa nuova cultura radicale e, invece, continua a dare, si accontenta di fornire alla crisi le stesse risposte di un tempo, oramai stantie e perfino stereotipate (come ha fatto in America il Partito democratico e come fanno in Europa i partiti in vario modo legati alle vecchie socialdemocrazie), il rischio che la Destra radicale resti al potere per molti anni si annuncia estremamente concreto.

Potremmo dire (parafrasando Marx) che in questo nostro tempo buio e grigio “un fantasma si aggira per l’Europa”. E non solo per l’Europa, perché ha invaso oramai anche l’America. Ma non è certo il fantasma del comunismo. E’ quello dell’ultradestra razzista, xenofoba, nazionalista. E chi più ne ha più ne metta.

Giovanni Lamagna