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Sì Tav, no Tav: basta l’analisi costi-benefici?
Questa storia che a risolvere la questione Sì Tav- No Tav in val di Susa debbano essere i risultati di una commissione tecnica formata per valutare il rapporto costi-benefici dell’opera non mi ha mai convinto.
Cosa vuol dire la formula “si valuteranno i costi e i benefici”?
Che si valuteranno esclusivamente gli aspetti economici dell’opera: quanti soldi escono, quanti soldi potranno rientrare a completamento dell’opera? Quanti soldi andranno sprecati (visto che i lavori sono già iniziati), se l’opera venisse annullata? Quali vantaggi ecologici ci saranno ad opera completata?
Se fosse questa e solo questa l’ottica nella quale si è mossa la commissione incaricata, mi chiedo: bastano queste valutazioni?
A mio avviso, no. Perché non si può non tener conto di quello che io chiamerei il fattore umano, ovverossia dell’enorme inquinamento ambientale che l’opera produrrà (e non per un breve periodo: si parla di alcuni decenni) nella valle di Susa.
E, soprattutto, non si potrà non tener conto dell’enorme sacrificio, in termini di condizioni abitative, che verrebbe richiesto (anzi è già stato richiesto) alla popolazione della valle e per alcuni decenni (non per poche settimane o mesi).
A meno di non sposare (ma sarebbe il colmo!) il cinico giudizio delle “madamine Sì Tav”, per le quali, se gli abitanti della val Susa non sono disposti a sobbarcarsi questo sacrificio, possono sempre decidere di trasferirsi provvisoriamente o definitivamente (problemi loro!) in altro sito.
Infine, a mio avviso, non vale l’argomento che di solito si porta in queste occasioni per contestare le popolazioni contrarie ad un’opera giudicata di pubblica utilità (quand’anche fosse di pubblica utilità: cosa che per quanto riguarda la Tav in val di Susa, come sappiamo, è quantomeno da discutere): l’argomento NIMBY (Not In My Yard: non nel mio cortile).
Secondo me, chi vede danneggiato “il proprio cortile” ha il diritto di protestare e di opporsi all’opera in questione. Il vantaggio pubblico collettivo non giustifica il danno individuale e privato. In una comunità democratica il singolo individuo ha lo stesso valore morale e, quindi, giuridico del resto della popolazione (quand’anche fosse l’intera popolazione meno uno). Quindi il suo diritto individuale non può essere schiacciato solo perché in macroscopica minoranza.
Ora sento parlare di un referendum da fare per chiedere in merito il parere del “popolo”. E’ l’ultimo argomento a cui si stanno appigliando i fautori dell’opera.
Ma, a parte che è controverso o quantomeno non chiaro a chi ci si riferisce in questo caso con la nozione di “popolo” (quello del solo Piemonte, quello del solo Nord Italia, l’intero popolo italiano?), sarebbe moralmente accettabile l’esito di un voto di questo tipo?
Non sarebbe come chiedere ad una classe di ragazzini, che vessasse con azioni di bullismo uno di loro, se questa azione è giusta o meno? Può valere in questo caso il principio democratico di una decisione assunta a maggioranza?
Se proprio si volesse fare un referendum, una volta valutato il rapporto costi- benefici dal punto di vista economico e dell’impatto ambientale complessivo, non sarebbe giusto coinvolgere nella decisione la sola popolazione della val di Susa, visto che è a questa popolazione che si chiede di sopportare gli enormi costi in termini di vivibilità che la costruzione dell’opera comporta?
Giovanni Lamagna
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Mario Monti e il Trattato di Aquisgrana.
Ho sentito giovedì sera con le mie orecchie il professor Mario Monti dire alla trasmissione di Corrado Formigli che il Trattato firmato qualche giorno fa ad Aquisgrana dalla Merkel e da Macron andava bene anche per noi italiani, perché era a favore di un rafforzamento dell’Europa. E l’Italia ha tutto da guadagnare da questo rafforzamento.
Mi viene da chiedere: ma il professor Monti ci è o ci fa? Tendo ad escludere la prima ipotesi. Non resta allora che la seconda.
Merkel e Macron vogliono un’Europa più forte? A me pare che vogliono, sì, un’Europa unita, questo è vero, ma esclusivamente e sostanzialmente ai loro ordini, un’Europa nella quale a dirigere l’orchestra sia l’asse franco-tedesco e tutti gli altri paesi a suonare gli strumenti ai comandi del direttorio.
Mi pare così evidente!… Posso mai pensare che il professor Monti ritenga seriamente che Macron e Merkel si siano accordati per il bene nostro e di tutti gli altri Stati che aderiscono all’Unione Europea?
Giovanni Lamagna
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L’Italia si divide tra “buoni” e “cattivi” sulla questione dell’immigrazione.
Luigi Manconi, promotore in questi giorni, assieme a Sandro Veronesi, di una raccolta di firme tra intellettuali ed esponenti del mondo dello spettacolo contro le politiche di Salvini in materia di immigrazione, afferma forte: “È dallo scorso 4 marzo che sento osservatori e amici ripetere la solita solfa e cioè che opponendosi a Salvini e alla sua politica in realtà non si faccia altro che portargli voti. Non è così. Sono solo alibi per omissioni, silenzi e inerzia. Basta, sono stufo”.
Io (nel mio piccolissimo) gli rispondo altrettanto forte: basta, sono stufo anch’io di questa contrapposizione, che sta diventando oltremodo sterile, tra due istanze entrambe legittime: quella umanitaria, anzi semplicemente umana, di soccorrere in mare (ma non solo) chi ha bisogno di aiuto, perché in pericolo di vita, e quella genuinamente politica di garantire dei flussi di entrata nel nostro paese controllati e regolamentati.
Ho l’impressione, infatti, che chi sostiene (giustamente, anzi sacrosantamente) la prima istanza non tiene in nessun conto la seconda e che chi sostiene (a mio avviso altrettanto giustamente) la seconda non tiene in nessun conto la prima.
I primi ci tengono a dimostrare la loro bontà e umanità, dimentichi a mio avviso di ogni realismo politico, come se l’arrivo degli immigrati, specie di quelli africani e mussulmani, non ponesse alcun problema di natura sociale e, quindi, politica.
I secondi (in primis Salvini) ci tengono, in maniera quasi speculare, a dimostrarsi duri, anzi cattivi, per cavalcare (e capitalizzare elettoralmente) il sentimento di paura, se non di vero e proprio razzismo, diffuso in larghi strati di popolazione.
Io sono stufo di questa contrapposizione che spacca il Paese, a mio avviso in maniera stupida e miope, su una questione capitale come questa.
Fin quando gli esponenti della prima fazione continueranno a catalogare quelli della seconda semplicemente come razzisti e fascisti e quelli della seconda fazione continueranno a considerare quelli della prima come buonisti e moralisti da strapazzo, io credo che non andremo da nessuna parte, non saremo in grado di dare nessuna soluzione equilibrata al problema.
Per me, infatti, la soluzione sta nel contemperare ed equilibrare le due esigenze: quella umanitaria della giusta accoglienza-integrazione degli immigrati e quella politica di controllarne e limitare i flussi in entrata, proprio per favorire una loro integrazione dignitosa e civile.
Io so benissimo che Salvini non vuole nessuna accoglienza e nessuna integrazione degli immigrati. E che la sua politica cavalca, in termini mediatici e per fini elettorali, razzismo e xenofobia, anzi li incita e li moltiplica. L’assenza dell’Europa nella gestione del problema è per Salvini solo un pretesto per scagliarsi contro l’Europa e per usare la mano dura coi migranti.
Vorrei, però, sentire dire ai suoi avversari (e non le sento) parole chiare e convincenti: 1) su come si regolano i flussi e come si organizzano l’accoglienza e l’integrazione, in termini economici, sociali e culturali; 2) come si pone (anzi impone) all’Europa, che finora ha fatto orecchi da mercanti, la questione del suo coinvolgimento nella gestione del problema; 3) come si affronta la questione in termini strategici e geopolitici e non solo emergenziali e di puro soccorso ai naufraghi.
Giovanni Lamagna