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16 novembre 2017

Lettera aperta alle compagne ed ai compagni dell’ex OPG occupato.

Care compagne e cari compagni dell’ex OPG occupato,

ho letto ed ascoltato con molta attenzione il vostro messaggio, in cui socializzate la vostra “idea da pazzi” e cercate di coinvolgere altre/i nella sua realizzazione.

Vi dico subito, con la stessa franchezza con cui voi avete risposto a suo tempo all’appello di Anna Falcone e Tomaso Montanari, che non lo condivido. E per più di un motivo che proverò ad illustrarvi.

Innanzitutto perché (come voi stessi lo definite) “è un messaggio improvvisato, alla buona, ma che viene fuori dalla pancia e dal cuore”.

Voi (un po’ ingenuamente) chiedete di non badare alla forma. Ma (appunto!) la vostra è una richiesta (se mi consentite) un po’ ingenua. Non si può, infatti, lanciare un’idea così grossa, così impegnativa, e poi non badare alla forma. In casi come questi la forma coincide con la sostanza.

E poi condivido l’esigenza che le cose non nascano solo dalla testa, ma anche dal cuore e dalla pancia. In questo il M5S ha molto da insegnare a tutti noi, senz’altro a uno come me. Ma l’anche non vuol dire innanzitutto (né, tantomeno, solo) dalla pancia e dal cuore. Per un progetto come quello che avete lanciato voi ci vogliono la pancia, il cuore e, anche, la testa.

In secondo luogo, non è vero che “nessuno parlerà di disuguaglianze sociali, di diritti negati, di democrazia sui territori”. Alcuni (e forse neanche tanto pochi) ne parleranno. Il punto è che non saranno credibili, perché la loro storia politica e il loro mancato radicamento sociale smentiranno i proclami fatti a chiacchiere.

Allora è piuttosto questo da sottolineare: la distanza tra i contenuti proclamati e quelli realmente portati avanti; e soprattutto la distanza tra i contenuti proclamati e le pratiche con cui si pretenderebbe di portare avanti questi contenuti.

Voi potrete a questo punto dirmi: noi non abbiamo questo problema; la storia di due anni del nostro collettivo sta a dimostrare la nostra vicinanza al popolo. E di questo non posso non darvi atto.

Io però vi rispondo: pensate che questo basti? Pensate che bastino due anni di azione politica in un territorio delimitato per lanciare un’idea così ambiziosa come quella che avete lanciato voi?

E voi probabilmente mi risponderete: ma mica pensiamo di portare avanti questa “idea pazza” da soli? Per questo abbiamo convocato un’assemblea a Roma per domani, dove pensiamo di essere in tanti e dove valuteremo disponibilità e forze in campo.

Ed io ancora vi dico: credete che un’assemblea a Roma, per quanto numerosa e partecipata, possa risolvere il problema da me posto? Non credete che la vostra proposta sia quantomeno prematura? Chi potrebbe raccogliere attorno ad essa? Certo, il mondo dei centri sociali? Quello dei sindacati di base e conflittuali? Ma quanto altro ancora?

Perché vi pongo queste obiezioni? Non certo perché voglio scoraggiare il vostro entusiasmo e neanche accusarvi di presunzione. Siete (in larga parte) giovani, potresti essere tutti figli miei o, addirittura, nipoti. Capisco bene, quindi che se non provate entusiasmo voi e se non siete persino un po’ presuntuosi voi, chi potrebbe/dovrebbe esserlo.

Pongo le mie obiezioni, perché voglio invitarvi (se me lo consentite) a riflettere bene prima di fare definitivamente una scelta. Riflettere bene significa farla diventare non solo di pancia e di cuore, ma anche di testa. E di testa, anche di testa, c’è bisogno per avventurarsi in un’impresa simile.

Riflettere bene significa valutare ad esempio i tempi, rispondendo a questa domanda semplice, semplice: la scelta è matura?

Non ci sono dubbi: c’è un gran pezzo di popolo (forse la maggioranza) ed io me ne sento parte, come voi, che non si sente attualmente rappresentato da nessuno dei soggetti politici oggi in campo. Quindi c’è la necessità oggettiva di un soggetto politico nuovo che vada a coprire questo spazio.

Ma il fatto che ci sia questo spazio non vuol dire che già ci sia il soggetto politico adeguato a occuparlo. Questo soggetto politico nuovo non si improvvisa, meno che mai a tre/quattro mesi dalle elezioni.

Questo cosa significa, dal mio punto di vista? Che bisogna rinunciare a costruirlo? Niente affatto! Significa che non si possono precorrere i tempi.

Un soggetto politico, che non voglia fare semplice testimonianza presentandosi alle elezioni, deve avere prima di tutto una sua cultura politica sufficientemente chiara e condivisa nelle sue linee fondamentali. Deve essere poi capace di parlare non solo a ristrette avanguardie ma al popolo diffuso. Deve aver raggiunto, in altre parole, un’adeguata massa critica.

Ci sono oggi queste condizioni? Io penso di NO, detto in tutta franchezza e fraternità.

Oggi, però, voi avete posto un pilastro fondamentale per costruire questo percorso: avete raggiunto la consapevolezza che anche quello elettorale può essere un terreno di battaglia politica, che anche l’occupazione delle istituzioni può essere un obiettivo per soggetti sociali e politici che non solo non accettano lo stato di cose presente, ma non si accontentano neppure di una sua pur illuminata amministrazione.

Questo pilastro, forse, fino a non molto tempo fa non esisteva ancora. Oggi c’è. E questo è già un primo passo importante.

Per concludere una modesta proposta: questa volta saltate (saltiamo) il giro e preparatevi/iamoci seriamente (e convintamente, decisamente) al prossimo.

Tra cinque anni? Non è detto. Il quadro politico che uscirà dalla prossime elezioni sarà molto frammentato e quindi estremamente fragile. Potrebbero esserci nuove elezioni non alla scadenza naturale della legislatura, ma nel giro di un anno, massimo due anni. Questa prossima scadenza, sì, dovrà trovarvi/ci pronti.

Quando si costruisce un edificio non si comincia dal tetto, ma dalle fondamenta. Non facciamo l’errore di cominciare dal tetto, proprio l’errore che hanno commesso Falcone e Montanari e tutti quelli che hanno risposto al loro appello. Abbiamo visto come è finita. La casa è crollata ancora prima che ne iniziasse la costruzione.

Con affetto e simpatia,

Giovanni Lamagna