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Quattro riflessioni a mente fredda (ma non troppo) sulla vicenda corona-virus

1.Sottovalutazione e senso di superiorità.

Quando questa malattia è scoppiata, in Cina, appena alla fine dell’anno scorso (ma sembra trascorso un tempo enorme, ormai), forse nessuno tra di noi, meno che mai io, andava a pensare che essa ci avrebbe raggiunto e nel modo (terribile!) col quale sta avvenendo da due settimane a questa parte.

La distanza di migliaia di chilometri dal grande paese asiatico ci faceva – diciamo pure – sentire ipso facto immuni, come se quello che era capitato in Cina mai e poi mai sarebbe potuto succedere anche a noi.

Una sorta di pensiero magico, di senso di superiorità più o meno inconscio, ci caratterizzava in maniera – a giudicare oggi – del tutto infantile.

Qualcuno si era permesso addirittura di ironizzare sul fatto che i cinesi (ancora oggi!) sarebbero abituati a mangiare topi vivi ed altri animali ugualmente ripugnanti. Quasi che la epidemia dalla quale erano stati colpiti fosse la diretta conseguenza di queste loro abitudini “selvagge e primitive”.

La realtà ha provveduto drammaticamente a smontare il castello di sabbia sul quale si poggiavano le nostre presunzioni e sicurezze. Ed è stato un duro colpo, tanto più duro quanto più inaspettato.

  1. Esperti e politici.

E, infatti, quando la malattia ha cominciato a manifestarsi anche da noi, iniziando dal piccolo distretto del Lodigiano, ci siamo subito divisi tra coloro che tendevano a minimizzarne la portata (che è un modo tipico, anche se paradossale, di fuggire l’angoscia) e coloro che invece sono stati presi dal panico (che è l’altro modo tipico, anche se opposto, di reagire all’angoscia).

Gli stessi esperti si sono divisi tra coloro che tendevano a definire la malattia “poco più di una normale influenza” e coloro che ne hanno intuito subito i rischi e i pericoli, mettendocene in guardia.

Ovviamente la politica ha fatto più o meno la stessa cosa: Salvini ha detto subito che bisognava chiudere tutto, in primo luogo le frontiere, in primo luogo ovviamente ai cinesi e agli extracomunitari.

Il governo e la sua maggioranza, per ovvie ragioni, si sono mossi con maggiore precauzione. Poi, preso atto che l’epidemia si stava espandendo in maniera esponenziale, hanno cominciato a prendere provvedimenti sempre più severi e drastici.

E, a questo punto, Salvini e la destra, col solito “grande senso di responsabilità” hanno preso a dire che si stava esagerando e che si stava bloccando l’economia del paese e in modo particolare il suo motore (Lombardia e Veneto), che dunque bisognava riaprire subito tutto e far ripartire le attività, specie quelle economiche.

Per fortuna il governo non è stato a inseguirli e si è preso fino in fondo le sue responsabilità. E così allora l’opposizione ha detto che bisognava chiudere ancora di più, anche le fabbriche, che i provvedimenti restrittivi del governo erano ancora insufficienti. Alla faccia della linearità e della coerenza!

  1. Il comportamento del popolo italiano.

In tutta questa situazione mi pare che il popolo italiano, nel suo complesso, stia reagendo abbastanza bene. Ci sono stati sicuramente episodi e fenomeni di irresponsabilità. Tre in modo particolare: – quello degli assalti ai supermercati – appena si è avuta notizia dei primi provvedimenti restrittivi – per fare razzia di merci varie, soprattutto alimentari; – quello dei giovani che fino a sabato scorso continuavano ad affollare i luoghi e i locali della movida, indifferenti all’invito che già c’era stato ad evitare gli assembramenti; – quello degli assalti ai treni del venerdì sera 6 marzo dalle stazioni del Nord verso le regioni del Sud; episodio che si è ripetuto, appena un po’ più filtrato e disciplinato, anche venerdì scorso 13 marzo.

Ma nel complesso a me pare che il comportamento delle grandi masse di popolo si stia dimostrando abbastanza composto e disciplinato. Le strade sono quasi deserte. Molti indossano la mascherina. Agli ingressi dei negozi si formano file abbastanza ordinate e autogestite.

Anche la depressione, che si temeva potesse prenderci tutti (o la gran parte di noi) di fronte alla quarantena alla quale siamo costretti, per ora non ci ha ancora raggiunti.

Ne sono testimonianza le centinaia, se non le migliaia, di post, di foto e di video scherzosi che girano su internet e che prendono la vicenda che tutti stiamo vivendo con grande ironia e senso dell’humor. Tanto è vero che sarebbe bello farne un’antologia-documentaria a futura memoria.

Come ne sono testimonianza i numerosi flash-mob dai balconi che si stanno svolgendo in vari momenti e in varie zone del paese, a significare il desiderio di stare comunque in contatto, anche se a dovuta distanza, di darsi coraggio reciprocamente, di vivere empaticamente e simpateticamente la situazione.

  1. Come ci cambierà il corona virus?

Qualcuno già adesso si chiede: in che misura la situazione che stiamo vivendo ci cambierà, come singoli e come collettività? e ci cambierà in meglio o in peggio?

Qualcuno già azzarda la previsione che ci cambierà in meglio. Sulla base di quali parametri non è, però, del tutto chiaro. Anche su questo vorrei provare a fare una riflessione.

Alcuni dei parametri che mi pare vengono presi a riferimento sono quello del rapporto velocità-lentezza e quello del rapporto tra produttività e benessere. Parametri che sono in qualche modo collegati tra di loro. Il parametro della produttività, infatti, richiama quello di velocità, come quello del benessere richiama il parametro della lentezza.

Non ci sono dubbi che questa crisi ci ha imposto un rallentamento dei nostri ritmi e, per conseguenza, un rallentamento (se non, in certi casi almeno, una stasi) della produzione e della efficienza economica.

Sapremo valutarne i vantaggi in termini di ritmi esistenziali più a dimensione di uomo e quindi di maggiore benessere psicologico, anche a costo di minori vantaggi materiali?

Sicuramente questa crisi (come tutte le crisi, del resto), assieme ai prezzi evidenti da pagare, ce ne mostra anche le opportunità, potenziali se non già attuali.

E, però, io non sono convinto (anzi, francamente, sono piuttosto scettico) che, superata questa fase critica, saremo (almeno la maggior parte di noi) capaci di trarre tesoro dagli insegnamenti che essa, sia pure indirettamente, ci ha voluto mandare.

Il mio timore (per non dire la mia sicurezza) è che, passata la crisi, tutto tornerà come prima. Anzi che riprenderà, ancora peggio di prima, l’orgia nella quale tutti quanti noi tendevamo a seppellire le nostre angosce e il nostro vuoto di senso.

Spero tanto (ovviamente) di sbagliarmi. E, in tale caso, sarò lieto di riconoscerlo (anche) pubblicamente. Ma temo molto che non sarà così. Temo che non sarò costretto (purtroppo!) a fare alcuna autocritica.

@ Giovanni Lamagna