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"la Repubblica", "Volere la luna", 1976, Carlo De Benedetti, Carlo Verdelli, contagio, epidemia, Eugenio Scalfari, Europa, Ezio Mauro, Francia, Germania, liberalsocialista, Mario Calabresi, Maurizio Molinari, misure di contenimento, politiche neoliberiste, Renzi, Robert Koch Institut, Salvini, sovranisti, Walter Veltroni
Alcune riflessioni e qualche domanda ai tempi del corona virus: quasi un diario(7)
27 aprile 2020
Alcuni giorni fa ho sentito Walter Veltroni dire: “I sovranisti sono nemici dell’Europa”.
Ora questo è senz’altro vero, ma è un “vero” incompleto.
Perché l’Europa ha anche altri nemici, meno manifesti, perciò più subdoli e, quindi, forse ancora più pericolosi dei sovranisti.
E sono tutti coloro che a parole dicono di essere per l’Europa, ma poi attuano (anzi stanno già attuando da una trentina di anni) politiche neoliberiste, che sono il brodo di coltura ideale per il prosperare dei sovranisti.
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28 aprile 2020
A proposito di quelli che in Italia dicono “le misure del governo relative alla fase 2 sono inadeguate, troppo timide, bisogna aprire subito e di più…” (vedi Renzi, Salvini…), leggo oggi sul sito de “la Repubblica”
La Germania allenta le misure e i casi aumentano
Primi segni di ripresa dell’epidemia in Germania, subito dopo l’allentamento delle misure di contenimento. Il tasso di contagio è risalito a 1, ovvero ogni persona infetta ne contagia un’altra, stando ai dati diffusi dal Robert Koch Institute (RKI). Da metà aprile, il tasso di infezione è sceso fino a 0,7 prima di risalire di nuovo. Nel frattempo anche il tasso di mortalità per la malattia è aumentato di giorno in giorno. Secondo i dati dell’RKI, ieri ha raggiunto il 3,8 per cento: comunque al di sotto di alcuni Paesi vicini come la Francia.
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28 aprile 2020
Il cambio di proprietà (avvenuto nei giorni scorsi) e il conseguente cambio della direzione (avvenuto il 25 aprile scorso) del quotidiano “la Repubblica” è un altro (ennesimo) segnale grave della fase che stiamo vivendo.
Segnale grave innanzitutto dal punto di vista formale: la direzione cambia da un giorno all’altro, quasi senza nessun preavvertimento.
La nuova proprietà non solo non si presenta e non dichiara il proprio programma editoriale, non solo non spiega i motivi della destituzione del vecchio direttore Carlo Verdelli, ma non gli dà neanche la possibilità di congedarsi con un articolo da quelli che per un anno sono stati i suoi lettori.
Il nuovo direttore subentra con un editoriale in prima pagina e non si cura manco di citare per nome e cognome colui che lo ha preceduto (degnamente o indegnamente, qui ha poca importanza) nell’incarico che va ad assumere.
Segno di una discontinuità brutale e cinica perfino nelle forme con cui è avvenuta.
Ma segnale grave anche nella sostanza. Altri meglio di me (segnalo uno per tutti l’articolo della rivista online “Volere la luna” che affronta la questione) hanno ragionato a fondo su ciò che significano sia il cambio di proprietà che la nomina di Maurizio Molinari a nuovo direttore del giornale: un giornalista piuttosto grigio, opaco, fedele vestale del pensiero unico neoliberista.
Questi due segnali (formale il primo, sostanziale il secondo) la dicono lunga su quello che sarà il futuro de “la Repubblica”.
Domenica scorsa (26 aprile) il fondatore, Eugenio Scalfari, gli ha voluto dedicare un passaggio (centrale) del suo abituale editoriale settimanale.
E’ sembrato voler rassicurare i lettori: io sono il fondatore del giornale, ne conosco bene la ragione sociale (o, meglio, politica), ne sarò ancora io il garante. Ma neanche lui ne sembrava molto convinto di quello che diceva.
Da qualche decennio oramai Scalfari garantisce ben poco. Già la sostituzione di Ezio Mauro con Mario Calabresi gli sfuggì di mano: Carlo De Benedetti non si consultò certo con lui quando procedette alla nomina. Tanto è vero che Scalfari se ne risentì in maniera anche piuttosto vistosa. Poi il suo malumore rientrò.
Ma già allora si ebbe la sensazione che oramai egli contasse ben poco nella nuova direzione che il giornale stava assumendo. Che, infatti, si allontanò parecchio dalle sue origini liberalsocialiste. Più liberali, a dire il vero, che socialiste; comunque (parecchio) illuminate e (moderatamente) progressiste.
Con Mario Calabresi e i giornalisti di cui egli si circondò, il giornale ebbe una netta virata verso destra. Oggi probabilmente con la nuova proprietà e il nuovo direttore questa virata diventerà ancora più netta e decisa.
E valgono poco in tal senso le rassicurazioni di Scalfari, che (credo) ad un certo punto sarà costretto a prenderne atto pure lui e forse dovrà a quel punto ripudiare la sua stessa creatura: immagino quanto dovrà costargli. Tanto è vero che è lui stesso, in fondo, tra le righe dell’articolo, a paventare questa possibilità.
Dopo aver ricordato quali sono stati i valori che lo hanno portato nel lontano 1976 a fondare “la Repubblica”, così, infatti, scrive: “Se la proprietà non riconosce più questi valori vuol dire che il giornale non c’è più, è un altro oggetto che ha cambiato totalmente il soggetto. Questo può avvenire, ma in tal caso spetta in primis al Fondatore di avvertire quanto è accaduto e trarne personalmente e collegialmente, se possibile, le conseguenze.”
Più chiaro di così…
© Giovanni Lamagna