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Sull’intervista di Andrej Zybertowicz a “la Repubblica” del 19 giugno scorso

Dopo aver letto l’intervista, rilasciata il 19 giugno 2020, a Wlodek Goldkorn di “la Repubblica”, dall’intellettuale polacco Andrej Zybertowicz, consigliere del Presidente della Polonia Duda, ne ricavo le seguenti riflessioni che ritengo utili appunti per me. E spero anche per qualcuno di quelli che mi leggerà.

1.La “ragione”, a cui l’Illuminismo attribuì somma importanza, è sicuramente una delle dimensioni fondamentali che caratterizza l’Uomo. Ma non è l’unica. Anche se, forse, è la principale, quella più specificamente umana.

E, se questo è vero, come è vero (almeno per me), la lezione dell’Illuminismo continua a restare valida nella sua sostanza, al di là forse delle sue (in alcuni casi esagerate) accentuazioni.

  1. Se è vero che, come diceva Marx, compito degli intellettuali non dovrebbe essere solo quello di capire il mondo ma soprattutto quello di cambiarlo, è anche vero quello che sostiene Zybertowicz; e cioè che oggi ci troviamo in una fase storica nella quale la capacità di trasformare il mondo (grazie alla tecnologia) è superiore a quella di capirlo, comprenderlo.

Col rischio quindi molto concreto di dare al cambiamento una direzione sbagliata, nel senso di contraria al reale interesse e benessere dell’uomo, perché non adeguatamente pensata e consapevole.

L’uomo allora dovrebbe non dico frenare il progresso tecnologico, ma quantomeno accompagnarlo con un analogo progresso spirituale.

  1. La democrazia non si può esportare come se fosse una merce, un bene di consumo.

Per quanto anche esportare merci inventate e prodotte in certi contesti culturali in altri contesti culturali profondamente diversi è, in fondo, un atto di neocolonialismo.

  1. Secondo me, è giusto che i popoli e le nazioni tendano a conservare la loro identità specifica e che non la disperdano in una indistinta identità universale.

Perché questo non solo non impedisce il dialogo e il confronto con altri popoli ed altre nazioni, ma ne è la base, è ciò che li rende possibili.

Anche tra due persone, infatti, la comunicazione e l’intesa è impossibile se ciascuna di loro non possiede una sua identità solida e ben precisa.

L’importante è che l’identità di un popolo non diventi tanto rigida, da trasformarsi in chiusura ostile nei confronti dello straniero.

E che la tutela dell’identità nazionale non si trasformi in nazionalismo, ovverossia nella pretesa superiorità (e, quindi, sopraffazione) della mia nazione sulle altre.

  1. Credo che la domanda se due persone omosessuali possano costituire una famiglia e allevare dei figli sia mal posta.

Perché oggi andrebbe piuttosto posta la domanda: la famiglia può ancora essere considerata la cellula fondamentale della società?

A questa seconda domanda la mia risposta è: sicuramente non lo è più nella misura e nelle forme in cui lo era fino a pochi decenni orsono.

Oggi è venuto il tempo di trovare in altre forme (molteplici, diversificate e non necessariamente formalizzate in maniera così rigida come lo è la famiglia tradizionale) i fondamenti delle società contemporanee.

Per cui il legame tra due omosessuali che allevano un bambino (che sia figlio di uno dei due o adottato) può essere considerato a pieno titolo uno dei fondamenti della società, così come lo sono (e lo erano fino a poco tempo fa solo) le famiglie tradizionali.

Ma non necessariamente il legame tra due omosessuali che allevano un bambino deve essere considerato e definito come una famiglia (almeno nel senso tradizionale del termine).

A questo punto l’etichetta di “famiglia” diventa per me del tutto superflua per definire un tale legame. E quindi anche una battaglia un po’ retrò da parte delle coppie omosessuali il rivendicarla.

L’importante, infatti, non è il “titolo” che si dà a un tale legame, ma la sostanza dei diritti (come pure dei doveri) che gli si riconoscono.

  1. Penso anche io che l’aborto non debba essere considerato alla stregua di un metodo anticoncezionale.

Allo stesso tempo ritengo, però, che l’ultima parola sulla decisione di tenersi o no un figlio nei primi mesi di concepimento spetti alla donna, senza nessun intervento censorio della Legge e dello Stato.

  1. Sono per la separazione netta tra Stato e Chiesa: senza se e senza ma.

Il concetto di “religione di Stato” è un aborto giuridico.

Se uno Stato riconosce la libertà religiosa e di culto, ipso facto non può adottare una religione come sua ufficiale: vorrebbe dire che questa religione è più libera delle altre e quindi non è uguale alle altre.

E che quindi i suoi cittadini non hanno pari dignità.

© Giovanni Lamagna