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E’ venuto – io penso – il tempo di dire che oggi, nelle condizioni storiche date, in presenza cioè di arsenali nucleari disseminati in varie zone della Terra e in grado di distruggere non una sola volta, ma più volte, non solo l’intera Umanità, ma forse anche tutte le altre forme di vita presenti su questo pianeta, manco la guerra che Inghilterra, Francia, Russia e Stati Uniti scatenarono a metà del secolo scorso per debellare il mostro nazifascista, sarebbe da ritenersi opportuna e quindi “giusta”, benché formalmente, cioè moralmente e giuridicamente (almeno per il diritto internazionale allora e tuttora vigente), del tutto legittima.

Di conseguenza manco la Resistenza partigiana, che negli ultimi anni di quella terribile guerra accompagnò le azioni armate degli eserciti alleati (e che – sia detto per inciso – senza di queste non avrebbe avuto alcuna, sia pur minima, possibilità di vittoria e quindi sarebbe stata puramente testimoniale e, in fin dei conti, suicida) lo sarebbe oggi.

E’ venuto forse (o senza forse) il tempo di dire con chiarezza che o l’Umanità è in grado di inventare e praticare altre forme di resistenza (non armata e quindi nonviolenta) alla violenza (anche la più estrema e crudele) di un esercito aggressore oppure la sua sorte è già segnata; saremo destinati, noi umani, a scivolare (forse – il che ha dell’incredibile e dell’assurdo – senza neanche rendercene conto) verso l’incubo nucleare e, quindi, quasi sicuramente (tutte le previsioni degli esperti lo confermano) verso la nostra completa autodistruzione.

Insomma e in altre parole, tra la resistenza armata e la resa passiva ad un’aggressione violenta di un esercito straniero, tertium datur: occorre ovviamente innanzitutto decolonizzare il nostro immaginario storicamente datato e poi inventarsi, addestrarsi a e, quindi, praticare all’occorrenza altre forme di resistenza all’aggressione e alla violenza: una resistenza attiva, nonviolenta, consapevole, scientifica, diffusa su larga scala, di massa.

Questa semplice (ma – a quanto pare – per niente scontata) riflessione dovrebbe tagliare la testa al toro sulle feroci polemiche che ha scatenato la recente presa di posizione dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) rispetto alla guerra da un mese e mezzo in corso in Ucraina.

Polemiche che prendevano a pretesto un’apparente contraddizione presente nella posizione dell’ANPI: un’associazione, che si fonda statutariamente sulla memoria storica della resistenza armata dei partigiani italiani nell’ultimo conflitto mondiale, può dichiararsi contraria all’invio di armi per supportare la resistenza del popolo ucraino all’invasione russa?

Se si tiene presente la riflessione da me svolta all’inizio, ci si renderà conto di come la recente posizione assunta dall’ANPI tenga onestamente e realisticamente conto della radicale mutazione dell’attuale contesto storico rispetto a quello del 1945 e quindi non soffra di alcuna contraddizione, come invece alcuni interessati commentatori (che tra l’altro non so da quale parte si sarebbero schierati a quell’epoca) hanno strumentalmente e opportunisticamente creduto di potere e dovere evidenziare.

© Giovanni Lamagna