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Vincenzo De Luca: candidato unico a Presidente della regione Campania?
Il quadro che si presenta in Campania alla vigilia delle elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale e per la nomina del nuovo Presidente (elezioni che si sarebbero dovute già tenere nello scorso mese di maggio e che come è noto sono state rinviate a causa della pandemia) è semplicemente desolante e del tutto sconfortante.
Intanto c’è da registrare che è praticamente in campo un solo candidato. Altro che “stracandidato”, come (con la consueta “autoironia” e “umiltà”) si è voluto definire il Presidente uscente De Luca! Qui siamo in presenza di un candidato unico, vista la progressiva estinzione di altre ipotesi di candidature, tutte oramai ridotte – se pure ci saranno – a pura e semplice testimonianza.
Eppure fino a pochi mesi fa (fino alla fine di febbraio, quando è cominciata la fase, ancora non del tutto conclusa – e chissà quando si concluderà del tutto! – della pandemia da corona virus) lo stesso candidato oggi dato per sicuro vincente era dato per sicuro perdente.
Che cosa è successo di così clamorosamente potente da ribaltare in maniera così poderosamente eclatante i pronostici quasi del tutto convergenti del pre-pandemia?
Qualcuno dice: De Luca ha saputo governare la crisi, ha dimostrato perciò di essere un buon “governatore”.
Bisogna allora chiedersi: è davvero fondato questo giudizio?
A mio modo di vedere, no. Non è per nulla fondato.
Certo, De Luca ha saputo approfittare ampiamente dello scenario mediatico che la gestione della fase del tutto straordinaria che abbiamo vissuto gli ha messo a disposizione. E, in questo, è stato indubbiamente bravo, capace.
Ha dato di sé un’immagine decisionista, persino severa e rigorosa, quasi savonaroliana.
Ma i suoi discorsi chi hanno potuto incantare?
Un popolo disorientato, impaurito, a cui piacciono le mascelle forti e pronunciate, le parole dure e sferzanti, l’humor sarcastico e a tratti persino volgare. Non certo persone culturalmente, umanamente, prima che politicamente, appena, appena un po’ più dotate.
Ma di concreto e positivo De Luca cosa ha fatto?
Certo, ha costruito in “quattro e quattro otto” un reparto covid nel parcheggio dell’Ospedale del are, con un’operazione spettacolare, che è costata parecchie decine di milioni di euro.
Questo reparto però pare essere privo delle attrezzature necessarie e, soprattutto, del personale indispensabile per farlo funzionare. Allora a cosa è servito costruirlo?
Pochi ricordano, invece, che lo stesso De Luca negli anni scorsi aveva provveduto a smantellare (è vero, perché le politiche nazionali tagliavano le spese per la sanità; ma non ci risulta che egli vi si sia minimamente opposto) diversi presidi sanitari disseminati sui territori della Regione.
Presidi che in questa fase sarebbero risultati oltremodo utili per fronteggiare l’emergenza verificatasi, senza dover ricorrere ad affannose (oltre che molto esose) costruzioni ex novo.
Qualche amico, anche molto autorevole, mi dice “Ma De Luca ha fatto pure delle cose buone!”. Ed io non lo metto in dubbio. E però come non associare una simile affermazione a quella oramai diventata un classico del discorso politico “Ma Mussolini ha fatto anche delle cose buone”?
Certo, Mussolini avrà anche fatto delle cose buone, ma queste non cancellano il segno complessivamente e profondamente negativo che contraddistingue la sua vicenda politica.
La stessa cosa, a mio avviso, vale – pari, pari – anche per il giudizio su De Luca. Il quale avrà anche fatto delle cose buone, ma queste non mi consentono di considerarlo un candidato votabile. Altro che “stracandidato”!
E ciò per almeno due motivi, di carattere generale, quasi prepolitico, più che di stretto merito politico (su cui pure molto ci sarebbe da dire: vedi intervista di Ivo Poggiani su “la Repubblica Napoli” di ieri).
E, dunque, almeno a mio parere, motivi ancora più pesanti e gravi di quelli che motiverebbero un semplice e normale dissenso di natura squisitamente politica.
Primo motivo. De Luca è espressione di una cultura di governo tutta basata sui rapporti interpersonali (quasi privati) all’interno del ceto politico, fatti di promesse e di scambi reciproci. Potremmo, quindi, anche dire clientelari, senza associare necessariamente questo termine al pagamento di tangenti o di affari realizzati in comunella.
Per me si è, infatti, “clientes”, quindi si attua una politica clientelare, anche quando si stabiliscono rapporti politici sulla base del “do ut des”. Perché sussistano rapporti clientelari in politica non c’è bisogno necessariamente (per affermare questo avrei bisogno di prove che non ho) che girino denari o siano assegnati appalti.
E De Luca, di questa maniera di fare politica, è un campione esemplare. Basti pensare ai rapporti da lui stabiliti con altri campioni di questo modo di intendere la politica, quali sono da decenni (quindi da ben prima di De Luca) personaggi del “calibro” di Ciriaco De Mita e Clemente Mastella.
E al modo con cui sta sottraendo alla destra politica esponenti di spicco (vedi in ultimo – ma quasi sicuramente non sarà l’ultimo – Mario Ascierto, finora vicino a Fratelli d’Italia), in grado di portargli presumibilmente consistenti quote di consenso elettorale.
Secondo motivo. De Luca è l’immagine (a dir la verità anche un po’ ridicola e persino alquanto patetica; tanto è vero che Crozza ne ha tratto moltissimi spunti per farne una vera e spassosissima macchietta) di un modo di fare politica (che vorrebbe essere e in parte è) muscolare, decisionista, da leader indiscusso e carismatico (quale non è).
Che gli hanno meritato il “titolo” indiscusso di “sceriffo”, prima come sindaco di Salerno e poi come “governatore” della Campania.
Un modo di fare politica, che ha avuto già parecchi “illustri” precedenti in questi ultimi 30 anni; basti pensare a Craxi, a voler andare un po’ lontano nel tempo, a colui cioè che ha un po’ inaugurato – almeno nell’Italia repubblicana – questo stile di governo; per finire agli ultimi due in ordine di tempo, Renzi e Salvini, così apparentemente lontani eppure così sostanzialmente vicini e affini.
Con tutta evidenza (non si può negarlo) questa immagine di uomo di governo, che sa quello che vuole e come ottenerlo, senza farsi magari tanti scrupoli, piace al popolo (almeno nei suoi grandi numeri), forse perché ci troviamo in un‘epoca in cui sono venute meno le grandi visioni del mondo che avevano orientato la politica nei primi 30 anni successivi alla fine della II guerra mondiale.
Insomma, in assenza di ideali forti, – sembra dire la gente – affidiamoci agli uomini reali forti. A quelli che di volta in volta sembrano incarnare il ruolo di coloro che sono stati inviati dalla Provvidenza. Salvo scoprire dopo un po’ che erano anch’essi uomini deboli e fragili come tutti gli altri, anzi magari peggiori degli altri.
Così che, come erano saliti velocemente in alto nella scala della popolarità e del consenso, così, altrettanto rapidamente ne discendono, finendo nella polvere del misconoscimento popolare.
De Luca, nel suo piccolo, sembra appartenere a questa categoria di uomini e personaggi politici: molto narcisi, molto apparentemente sicuri di sé, che piacciono molto all’inizio, ma poi nel lungo tempo finiscono inevitabilmente per deludere le aspettative. Si rivelano, insomma, più fumo che arrosto.
Tanto “sicuro di sé”, però, – a pensarci bene e sia detto per inciso – De Luca non deve esserlo, se ha chiesto che le elezioni regionali si svolgessero al più presto, già nel mese di luglio o, al più tardi, agli inizi di settembre.
Insomma in piena estate e del tutto a ridosso dello scampato pericolo pandemico, che ci ha chiuso in casa per svariate settimane e ancora limita alcune delle nostre libertà fondamentali. Insomma senza una vera campagna elettorale.
O, meglio, con una campagna elettorale fatta praticamente solo da lui e già da svariati mesi a questa parte, mentre gli altri ipotetici candidati e le altre forze politiche erano impossibilitati a farla. Alla faccia della democrazia!
E a conferma del sospetto che – dopo questa pandemia – “il nulla sarà come prima” non era da intendersi (come molti un po’ frettolosamente e superficialmente si erano illusi) nel senso che “tutto sarà meglio di prima”, ma che, all’incontrario, “tutto sarà ancora peggio di prima”.
L’emergenza pandemica sembra aver cambiato profondamente (e in peggio) anche le regole della democrazia.
Per chiudere, al di là di queste riflessioni sulle parabole politiche dei personaggi precursori a cui sembra richiamarsi il nostro “stracandidato” Presidente uscente, alcune domande vengono spontanee; almeno in chi (come me) si sente di sinistra (e, purtroppo per lui, da antica data): ma cosa c’entra questo modo di intendere e di fare politica con la sinistra? e perché un uomo di sinistra dovrebbe votare De Luca?
So bene che per De Luca queste sono domande “fuori dal mondo”. Perché per uno come lui oramai la “destra” e la “sinistra” sono categorie politiche del tutto desuete, che non hanno più senso.
Lo so bene! Ma – che volete farci? – per uno come me questo è un ulteriore motivo per considerare De Luca un candidato Presidente non solo inaccettabile, ma da non prendere neanche seriamente in considerazione.
© Giovanni Lamagna
p.s. Spiace dover constatare che analoghe riflessioni non le abbia fatte il PD napoletano, che, con il suo nuovo segretario cittadino Marco Sarracino e il suo autorevole presidente Paolo Mancuso, qualche segnale (per quanto timido, molto timido!) di rinnovamento lo aveva dato.
Vuol dire che il rinnovamento, appena intravisto, era molto debole e superficiale. Tanto è vero che non è sopravvissuto al contagio (anche questo pandemico?) del De Luca-virus.