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10 novembre 2017
Lettera aperta ad Anna Falcone, Tomaso Montanari e a tutte le compagne e a tutti i compagni che hanno aderito al loro appello “Un’alleanza popolare per la democrazia e l’uguaglianza”.
Cara Anna Falcone, caro Tomaso Montanari,
vorrei dire qui, in poche parole, perché non riesco e non intendo aderire al vostro appello “Un’alleanza popolare per la democrazia e l’uguaglianza”.
Voglio farlo quasi per un dovere morale nei confronti dei compagni, che hanno richiesto e sollecitato qualche tempo fa la mia adesione e ai quali mi lega non solo un’antica militanza e affinità politica, ma anche tanto affetto e tanta stima.
Parto dall’incipit dell’appello: È necessario uno spazio politico nuovo, ci vuole una sinistra unita e una sola, grande lista di cittadinanza aperta a tutti: partiti, movimenti, associazioni, comitati.
Di questo incipit condivido una cosa e non ne condivido altre due.
Condivido la necessità di “uno spazio politico nuovo”.
Non condivido la necessità di “una sinistra unita e una sola”. O, meglio, la condivido in linea teorica. Non la condivido in linea pratica. Che è, poi, l’unica cosa che conta davvero in politica.
Per conseguenza e, a maggior ragione, non condivido la necessità di una “grande lista di cittadinanza aperta a tutti: partiti, movimenti, associazioni, comitati”. O, meglio, anche qui, la condivido in linea teorica, la ritengo però impossibile, impraticabile, nell’attuale momento storico che attraversa il nostro Paese.
Cercherò di argomentare brevemente il punto di accordo e i due di disaccordo.
Non ci sono dubbi (è perfino banale qui ripeterlo) che in questo Paese c’è un enorme parte di popolo che non è politicamente rappresentata. E non parlo solo e neanche principalmente della rappresentanza parlamentare o istituzionale.
C’è un enorme pezzo di Paese che non si riconosce in nessuno dei soggetti politici oggi in campo. E perciò, tra l’altro, (ma non è manco questo il maggiore dei problemi) non va a votare.
Questo pezzo di Paese è costituito in primo luogo dai giovani, dai moltissimi (non solo giovani) che non hanno un lavoro o lo hanno solo precario, dai tanti che vivono sotto la soglia di povertà o che vi sono molto vicini o che vi si stanno sempre più drammaticamente avvicinando.
Ma anche dai tanti che, pur godendo di un relativo benessere, sono politicamente disorientati e smarriti. Dopo il cosiddetto tramonto delle ideologie e dei soggetti politici che se ne facevano interpreti, si sono sentiti orfani ed oggi sono politicamente apolidi.
C’è bisogno, quindi, non ci sono dubbi, di uno spazio politico, necessariamente nuovo, che offra una casa politica a questo popolo.
Una casa politica, però, non è solo né in primo luogo una lista elettorale, nella quale riconoscersi e per la quale andare a votare alle prossime elezioni. Ma è ben altra cosa. E’ molto di più.
In cosa consiste per me questa casa politica nuova di cui c’è bisogno?
In due cose fondamentali: 1) innanzitutto una cultura politica nuova 2) e poi un nuovo modo di intendere l’organizzazione politica e lo stesso impegno degli attivisti, con la conseguente assunzione di compiti e responsabilità.
Per quanto riguarda la cultura politica, da tempo mi vado convincendo ogni giorno di più che si è esaurita (e irreversibilmente) una lunga fase, una fase iniziata addirittura a metà dell’800, che all’interno della sinistra ha visto l’egemonia della cultura politica socialista nelle sue varie versioni, quella più minimalista e riformista e quella più massimalista rivoluzionaria.
Questa fase si è esaurita, a mio modesto parere, all’incirca una trentina di anni fa, con il quasi coincidere della caduta del socialismo reale ad est (e il grande fatto simbolico della caduta del muro di Berlino) e la fine del “trentennio glorioso”, con la crisi delle socialdemocrazie europee, che oggi è diventata drammatica, è entrata (per me) nel suo stadio finale.
Oggi, a mio avviso, c’è bisogno di una cultura politica radicalmente nuova, che operi, rispetto a quella socialista andata in crisi lo stesso salto e la stessa rottura che operò la cultura socialista a metà dell’800 rispetto a quella liberale, che, pur nata come cultura progressista e di sinistra a metà del 700, soprattutto con la rivoluzione Francese, aveva rivelato a metà dell’800 tutti i suoi limiti e i suoi caratteri tendenzialmente conservatori, se non proprio reazionari.
C’è bisogno di una cultura politica nuova che tenga insieme, nei fatti e non solo a parole, nelle pratiche (sia individuali che collettive) e non solo nelle ideologie, i tre pilastri fondamentali della Rivoluzione francese: libertà, uguaglianza, fraternità.
Senza escluderne nessuno e senza dare il primato a nessuno di essi. Essi, infatti, o si tengono saldamente assieme o vengono meno tragicamente assieme. Come la storia ci ha dimostrato, sia nel caso della Rivoluzione francese, sia nel caso della Rivoluzione russa, sia (e perfino) con l’esperienza delle grandi socialdemocrazie europee.
Per quanto riguarda l’organizzazione e le forme dell’attivismo, ritengo che siano venute meno le ragioni che diedero vita e forma nel secolo scorso alle grandi organizzazioni politiche che vedevano nella classe operaia il principale radicamento politico. In modo particolare ritengo sia in crisi una concezione dell’organizzazione verticistica e piramidale, basata sull’idea delle avanguardie politiche e dei professionisti della politica.
Ovviamente non posso e non voglio qui approfondire questi ragionamenti. Vi ho fatto appena qualche cenno in premessa solo per poter dire che il tentativo di costruzione di “una grande lista di cittadinanza e di sinistra, aperta a tutti: partiti, movimenti, associazioni, comitati, società civile” corre il rischio (che per me a dire il vero è quasi una certezza) di tradursi nell’atteggiamento di coloro che volendo costruire una casa, un edificio nuovo, cominciano dal tetto, anziché dalle fondamenta.
E a chi mi muoverà l’obiezione che le due cose non sono in contraddizione, che costruire una nuova cultura politica e una nuova forma organizzativa della sinistra non è in contraddizione con l’ipotesi di presentare una lista di sinistra alle prossime elezioni, rispondo che in ingegneria esistono delle leggi ferree, a cui non si può disobbedire, le quali prevedono tempi diversi: un tempo per costruire le fondamenta, un tempo per elevare i muri e un tempo per coprirli con un tetto: non si possono fare tutte e tre le operazioni in contemporanea. Pena farle male tutte e tre.
Per uscire di metafora la presentazione di una lista equivale alla terza di queste fasi: non può essere la prima.
Non bastano neanche i programmi, quand’anche questi fossero costruiti con un processo (come avete provato voi a fare in queste settimane) che parta dal basso. I programmi (per tornare alla metafora) sono i muri, cioè la seconda fase della costruzione. Ma i muri hanno bisogno delle fondamenta. E le fondamenta sono dati dalla cultura politica e da scelte e metodi organizzativi totalmente nuovi.
Cose che non si possono improvvisare all’ultimo momento a pochi mesi dalle elezioni. Hanno bisogno di tempi lunghi, anzi molto più lunghi.
D’altra parte a dare conferma a questo ragionamento non sovviene solo la logica, ma anche, se mi consentite, la storia recente della Sinistra in Italia. Il vostro tentativo (se mi è concessa un po’ di impudenza, che però per me è semplice franchezza, la franchezza che si deve agli amici, cioè alle persone a cui si vuole bene) non è affatto nuovo.
Ha almeno altri tre precedenti, consumatisi nell’arco di manco dieci anni: la “Sinistra Arcobaleno” di Bertinotti, “Rivoluzione civile” di Ingroia, e, in ultimo, “L’Altra Europa” di Barbara Spinelli, Gallino, Revelli e Viale. Tutti e tre nascevano con gli stessi intenti e si mossero con le stesse modalità del vostro. Sappiamo tutti come sono finiti.
Ora io ritengo che nella vita sia umano sbagliare una volta, molto meno umano sbagliare una seconda volta, diabolico sbagliare la terza volta. Non oso dire cosa sarebbe per me sbagliare la quarta volta. Siete troppo amici e ve lo risparmio.
In ogni caso, vi faccio i miei migliori auguri di buon lavoro: spero sinceramente di essere, nell’occasione, io ad avere torto e voi ad avere ragione.
Giovanni Lamagna