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"oppio dei popoli", "riformismo radicale", "stato di cose presente", capitalismo, Cina, classi subalterne, consenso, Cuba, cultura politica, estremismo, Marx, Micromega, moderatismo, Paolo Flores d'Arcais, Russia sovietica, sinistra, sistema finanzcapitalista, società liberaldemocratiche, terrorismo, violenza
2 Lineamenti sintetici di una nuova cultura di sinistra.
2.1. Riformismo radicale oltre il capitalismo.
Una nuova cultura di sinistra (ammesso che si voglia ancora continuare ad adoperare questo termine, “sinistra”, verso il quale io non ho obiezioni di principio, anzi al quale sono sentimentalmente affezionato) deve naturalmente e in primo luogo cercare di ovviare (innanzitutto a livello teorico e poi anche a livello pratico/operativo) ai diversi fattori analizzati prima, che hanno determinato (almeno a mio avviso) l’involuzione delle politiche socialdemocratiche.
Se non vuole andare a finire nelle stesse secche teoriche e pratiche nelle quali sono finite le culture politiche che l’hanno preceduta.
Quindi deve essere in primo luogo una cultura radicale, cioè una cultura che cerca di andare alla radice dei problemi, vederli nella loro realtà effettuale, senza edulcorarli, annacquarli, sottovalutarli o, addirittura, ignorarli, rimuoverli. Perciò “radicale”, nel senso etimologico del termine.
Questo le eviterà di cadere nei due opposti speculari del moderatismo e dell’estremismo.
Per moderatismo intendo l’atteggiamento (psicologico prima che politico) che implica una specie di rassegnazione di fronte allo “stato di cose presente”. Secondo questo atteggiamento “lo stato di cose presente” è sostanzialmente immodificabile. Si può provare solo ad addolcirlo, eliminando le distorsioni più gravi e dolorose per le classi subalterne. Introducendo nelle politiche governative quelle misure che possano (anche se solo minimamente) attenuare gli effetti sperequativi tra le varie classi e ceti sociali derivanti dall’azione dei mercati.
Per estremismo intendo l’atteggiamento opposto e speculare, basato su una sorta di illusione più che di speranza, di chi pensa che le cose si possano modificare in maniera totale e, allo stesso tempo, rapida, veloce. Con la violenza e (perché no?) con il terrorismo, uniche vie possibili per realizzare un cambiamento vero, profondo della società. Tutte le altre strade sarebbero pie illusioni. O, addirittura, “oppio dei popoli”.
La cultura radicale che voglio provare a delineare è, dunque, una cultura che intende mettere radicalmente in discussione l’attuale sistema finanzcapitalista, vuole rovesciarlo completamente e non solo in alcuni suoi aspetti limitati.
Ma allo stesso tempo è consapevole della complessità dei cambiamenti necessari per superarlo, che necessitano pertanto di tempi graduali e di metodi basati sulla conquista democratica e non violenta del consenso.
Vuole essere, dunque, una cultura radicale e allo stesso tempo riformista. Che potrebbe essere definita perciò di “riformismo radicale”. Prendo qui a prestito l’espressione più volte adoperata dal filosofo della politica Paolo Flores d’Arcais, fondatore e direttore della rivista di politica e cultura “Micromega”.
Una cultura che si ponga l’obiettivo di superare radicalmente le società liberaldemocratiche, di superare quindi la loro condizione strutturale, che è quella del capitalismo.
Senza però finire nell’oppressione delle società dittatoriali prima preconizzate dal socialcomunismo di Marx e poi tristemente realizzate nell’Est europeo, in primis nella Russia sovietica.
L’espressione “riformismo radicale” è naturalmente solo il titolo possibile della nuova cultura politica oggi a mio avviso necessaria. A questo titolo ovviamente bisognerà far seguire, almeno per grandi linee, la definizione delle caratteristiche che dovrebbe avere la nuova società, che immaginiamo come alternativa non solo a quelle capitalistiche oggi largamente egemoni, ma anche a quelle socialcomuniste, che si sono finora realizzate nella storia (nei paesi dell’Est europeo, in Cina e a Cuba).
E’ quanto cercherò di fare, appunto, nel prosieguo di questa mia riflessione.
Giovanni Lamagna
(continua, 5)