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Diario politico (120)
di Giovanni Lamagna
lunedì 15 giugno 2015
Sul reddito minimo garantito
Il reddito minimo garantito (RMG) è:
– una forma minima di redistribuzione della ricchezza presente in una determinata società (al pari e in aggiunta alla tassazione progressiva);
– un riconoscimento alla persona, al suo diritto di vivere “un’esistenza libera e dignitosa”, per il semplice fatto di essere venuto al mondo (e non solo per il fatto di essere un lavoratore, come prevede oggi la Costituzione italiana); potremmo chiamarlo, dunque, anche “Reddito Minimo di Esistenza” (RME);
– è una forma di libertà dai ricatti: dal ricatto del lavoro nero, di un salario di fame, di condizioni lavorative (soprattutto orario e ambiente di lavoro) non dignitose, a volte del vero e proprio sfruttamento.
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Per queste tre ragioni, che sono ragioni di civiltà, (se per civiltà intendiamo una convivenza civile fondata sulla libertà, la giustizia e la solidarietà) esso va richiesto con forza e determinazione.
Le principali obiezioni al reddito minimo garantito (le conosciamo bene!) sono:
– lo Stato non ha le risorse per pagarlo (specie in una fase come quella attuale di crisi economica);
– il RMG finisce per scoraggiare la ricerca di un lavoro: la persona finisce per accontentarsi del RMG e non cerca più il lavoro;
– occorre creare lavoro anziché garantire il reddito; l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro e non sul reddito; è il lavoro che produce reddito;
– il RMG mette sullo stesso piano chi lavora e chi non lavora: in alcuni casi chi non lavora si troverebbe a percepire lo stesso reddito di chi lavora; e ciò generebbe elementi di conflittualità.
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Queste obiezioni vanno così smontate:
-il problema delle risorse non è un problema di chi chiede il RMG, ma di chi lo deve garantire, cioè dello Stato; lo Stato deve garantire questo diritto (che è un diritto di civiltà) e, quindi, deve trovare le risorse.
D’altra parte uno Stato in cui c’è un’evasione fiscale colossale, dove ci sono sprechi scandalosi, dove ci sono sperequazioni di reddito infami, non può rispondere alla domanda del RMG con l’obiezione: non ci sono le risorse! Le risorse le deve semplicemente trovare.
-il RMG non scoraggia affatto la ricerca del lavoro, se per lavoro non intendiamo (come spesso è oggi) la condizione umiliante di sfruttamento a cui è costretto chi non ha altri mezzi per vivere.
Il lavoro per noi è la via e il modo privilegiati per socializzare e per realizzare la propria creatività.
Se è questo, è inconcepibile dunque che una persona si adatti ad essere puro percettore di reddito, senza dare il proprio personale contributo alla costruzione della comunità sociale in cui è inserito.
– il RMG non vuole essere un’alternativa a un piano per la creazione di nuovi posti di lavoro. Anzi è da pensare che l’istituzione del RMG, incentivando la domanda di beni e servizi, servirà anche a favorire il rilancio dell’economia e, per conseguenza, la creazione di nuovi posti di lavoro.
– Chi lavora e chi non lavora vanno messi sullo stesso piano, perché la dignità della persona risiede nella persona stessa e non nel fatto che lavori o meno.
Ovviamente il RMG viene assegnato a chi è realmente senza lavoro.
Non sarà, dunque, garantito a chi, pur in presenza di un’offerta di lavoro del tutto dignitosa, all’altezza delle sue competenze e a una distanza ragionevole dalla sua residenza, la rifiutasse in maniera del tutto immotivata.
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Da queste risposte alle principali obiezioni che gli vengono mosse, si comprende che per sostenere il RMG occorre uscire dalle logiche del pensiero dominante, decolonizzare il nostro stesso immaginario; occorre perciò partire dall’idea che:
– la distribuzione della ricchezza non può essere affidata a un mercato selvaggio, non bisogna rassegnarsi alle enormi sperequazioni di reddito oggi esistente, come se fossero un dato di natura immodificabile;
– la vita è un diritto acquisito e non un bene da difendere con i denti e meno che mai da conquistare come se ci trovassimo in una giungla, dove regna la legge del più forte, dell’homo homini lupus;
– il lavoro non va inteso come una condanna, ma come un mezzo (anzi il mezzo principale e privilegiato) per realizzare la propria creatività e socializzazione; il lavoro è, quindi, una forma di liberazione; altro che schiavitù o merce!
In altre parole la rivendicazione del RMG presuppone che noi contestiamo una società fondata sull’idea dell’arricchimento infinito, cioè del profitto selvaggio, in nome di e per realizzare una società fondata sui valori dell’uguaglianza (almeno tendenziale), della libertà (non solo formale) della solidarietà fraterna tra i suoi componenti.