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Giovedì sera a Bologna si sono riunite in contemporanea tre piazze che a mio avviso esprimono bene l’attuale divisione culturale e politica, forse persino antropologica, della città emiliana, ma forse non solo.

In qualche modo esse, anche se molto probabilmente in misure e proporzioni diverse (e, temo, invertite), esprimono analoghe divisioni presenti nell’intero paese-Italia.

La prima piazza (prima perché quella che ha innescato la convocazione e la riunione anche delle altre due) è ovviamente la piazza leghista, che si è assemblata attorno al suo leader nazionale Matteo Salvini e alla candidata alle prossime elezioni di quella regione, Lucia Borgonzoni.

Si è riunita al PalaDozza, il palazzetto dello sport di Bologna, ma anche storico luogo di assemblea della sinistra o, per meglio dire, del PCI bolognese. Non a caso il palazzo è intitolato a Dozza, storico sindaco comunista, eletto negli anni della ricostruzione postbellica.

Questa piazza ha messo insieme all’incirca 5mila persone (tante – o poco più – è capace di contenerne il PalaDozza) e pare abbia fatto fatica a raggiungere tale numero di partecipanti. Segno di una qualche difficoltà non solo organizzativa, ma anche politica.

La seconda piazza è quella del cosiddetto antagonismo sociale, che ha sfilato per le strade di Bologna, non solo con lo scopo di manifestare contro le idee e il programma politico di Salvini e della Lega, ma anche di (provare a) impedire che la prima piazza potesse riunirsi e “parlare”.

Questa piazza ha messo insieme centri sociali ed anarchici, qualche migliaio di persone, dai resoconti giornalistici pare all’incirca tremila persone.

La terza piazza è una piazza del tutto anomala, che rappresenta una vera e propria novità nel panorama politico di questi ultimi (almeno) dieci anni. Si è riunita a piazza Maggiore, la piazza più grande di Bologna.

Anomala perché è stata convocata, tramite la rete, in pochi giorni, da quattro giovani trentenni, sconosciuti fino a pochi giorni fa, senza una particolare storia politica alle spalle, impegnati solo nelle loro professioni o, al più, in attività di volontariato.

Questa piazza si è riunita non solo e forse non tanto per opporsi alle idee e al programma politico di Salvini e della Lega, ma soprattutto, a mio avviso, col proposito di uscire da un silenzio, che poteva sembrare (e, invece, non era) figlio dell’inerzia e della rassegnazione.

Come a dire: visto che non ci hanno convocato e non ci convocano i partiti della sinistra, paralizzati dalla sindrome e dalla paura di una sconfitta annunciata (ma sarà poi vero?), lo facciamo noi, da soli, ci autoconvochiamo.

E così in piazza Maggiore si sono riunite, come per magia, più di diecimila persone, il doppio di quelle della Lega, quattro volte quelle dei centri sociali, molte più di quelle delle altre due piazze messe assieme: segno di un indubitabile, clamoroso successo; tanto più clamoroso perché del tutto imprevisto.

Si sono riunite, quindi, senza bandiere e simboli di partito, con cartelli e slogan improvvisati, per il bisogno di trovare “compagnia”, per uscire dalla solitudine (per quanto virtualmente affollata) della rete, con il bisogno di trovare parole condivise e uscire da una sorta di afasia troppo frustrante per durare ancora a lungo.

Cosa ci dicono queste tre piazze? A mio avviso ci dicono alcune cose molto importanti, che valgono innanzitutto per la Regione (l’Emilia-Romagna), che le ha viste riunirsi, ma forse valgono anche per tutto il resto della Nazione Italia.

1 Salvini e la Lega non hanno conquistato affatto tutta la scena. C’è sicuramente una Bologna, una Emilia Romagna leghista, ma c’è sicuramente anche un’altra Bologna e un’altra Emilia Romagna, che non sono affatto leghiste.

E, se questo vale per Bologna e per l’Emilia Romagna, non si capisce perché non dovrebbe valere (anche se non proprio nelle stesse identiche misure) anche per il resto dell’Italia. La piazza Maggiore di Bologna potrebbe dare coraggio anche alle altre piazze antileghiste presenti sicuramente nel resto del Paese.

2.La piazza leghista è dominata dalla pancia, da un misto di paura, di rabbia, di rancore, di volontà di difendere fortini e privilegi. E’ la piazza dei luoghi comuni e, in fondo, degli interessi consolidati, incapace di mettere in discussione lo status quo, cioè l’attuale modello di sviluppo.

Nella migliore delle ipotesi è la piazza dei penultimi, che invece di contrapporsi ai primi, cioè a coloro che da questo modello di sviluppo traggono vantaggi e privilegi, preferisce (ottusamente) prendersela cogli ultimi, nella illusione che i primi lasceranno loro qualche briciola dei loro profitti, se questi non verranno minimamente messi in discussione.

E’ in fondo una piazza che gioca in difesa. Che attacca perché “la migliore difesa è l’attacco”. E’ una piazza che abbaia più per paura che per forza.

3.La piazza dei centri sociali è una piazza che esiste per contrapposizione. Anch’essa è una piazza che odia (“odio la Lega” è, infatti e non a caso, il suo slogan principale) Un odio che si contrappone all’altro odio (quello del PalaDozza e di Salvini). E’ poi la piazza che vuole impedire all’avversario di parlare e di manifestare, ancora prima di manifestare e parlare in proprio.

E’ la piazza che ad un estremismo becero e autoritario reagisce con un altro estremismo, altrettanto becero e potenzialmente autoritario, perché, più che confrontarsi e misurarsi politicamente con l’avversario, lo vuole (o, meglio, vorrebbe, perché nei fatti non ci riesce, anzi addirittura gli dà corda) zittire e annientare fisicamente.

E’ una piazza che anziché potenziare, infoltire ed arricchire lo schieramento democratico, che si contrappone alla deriva autoritaria di destra, aggiungendogli casomai una connotazione più radicale, nei fatti addirittura lo danneggia. Perché fa oggettivamente il gioco di Salvini & company, i quali possono così vestire i panni delle povere vittime della violenza comunista.

Non a caso è una piazza che raccoglie poco e (soprattutto) non cresce per nulla. In piazze come queste, infatti, si vedono sempre le stesse persone, che giocano a fare i rivoluzionari di professione, in un mondo dove non c’è (e dovrebbe risultare anche a loro di tutta evidenza oramai, come lo è  per la maggioranza delle persone normali) nessuna (ma proprio nessuna) possibilità di fare la rivoluzione manu militari, scimmiottando (pateticamente) quella del lontano 1917, a cui essi (più o meno consapevolmente, più o meno consciamente) si richiamano.

4.La piazza Maggiore di Bologna ci dice, invece, che una terza via, alternativa ad entrambe le prime due, è possibile.

E’ la piazza di un popolo che non si rassegna all’esistente (come fa invece quello leghista, nonostante i roboanti proclami di cambiamento del suo “capitano”) e nello stesso tempo non coltiva sterili e velleitarie illusioni pseudorivoluzionarie .

E’ la piazza di un popolo “normale”, pacifico, contrario alla violenza di qualsiasi tipo, ma non inerte, non rassegnato, che vuole parlare e allo stesso tempo lascia parlare. E che quindi non fa il gioco di un avversario imbroglione, che, essendo congenitamente, intrinsecamente, violento e aggressivo, fa la vittima di fronte alle ricorrenti manifestazioni (non sempre pacifiche) dei centri sociali.

E’ un popolo (quello di piazza Maggiore) in questo momento senza leadership politica. E questo è indubbiamente un suo limite. Ma, paradossalmente, potrebbe costituire anche un suo vantaggio e una sua potenzialità. Se riuscisse a darsi un minimo di organizzazione e di continuità, potrebbe contribuire alla rigenerazione della classe politica e dirigente.

In primis a Bologna e in Emilia-Romagna, che – come tutti sappiamo – da questo punto di vista sono territori fertili. Ma, si spera, prima o poi, anche nel resto del Paese, che da Bologna e dall’Emilia-Romagna potrebbero trarre esempio e slancio per una loro analoga ripresa di iniziativa.

Giovanni Lamagna