17 agosto 2016
Sul tarlo interno che rode le democrazie.
Leggo su “la Repubblica” di oggi un articolo di Roberto Esposito sulla crisi delle democrazie contemporanee o, per usare le parole stesse dell’autore, sul “tarlo interno che le rode”.
Sostiene Esposito “Nelle interpretazioni correnti esso è ricondotto a due cause principali, opposte tra di loro. O a una secolarizzazione che avrebbe travolto, con le fedi religiose, anche la fiducia nei valori. Oppure, al contrario, a una laicizzazione incompiuta che non consente una vera parità dei diritti individuali. In realtà nessuna di queste due analisi coglie il cuore del problema. Che non sta né in una generica crisi di valori né in una carenza di norme, ma nella insufficiente articolazione tra questi due ambiti. Nella frattura che si è aperta tra valori e norme.”
Questo ragionamento mi intriga e perciò vorrei riprenderlo, per sviluppare alcune riflessioni personali.
La prima riflessione che mi viene da fare riguarda il concetto, anzi la realtà stessa, della “secolarizzazione”.
Sì, è vero, la secolarizzazione ha comportato una messa in crisi (a mio avviso inevitabile, non più procrastinabile, anzi irreversibile) della fedi religiose e allo stesso tempo una crisi di fiducia nei valori. Ovviamente questa seconda crisi non può rimettere in discussione la prima: si tratterebbe, in questo caso, di una regressione.
E però non si può negare che la prima si è trascinata appresso la seconda: anche questo è un dato di fatto. E’ venuta meno cioè la legittimazione dei valori tradizionali e allo stesso tempo i valori nuovi, figli della secolarizzazione, faticano (ancora oggi) ad affermarsi e a trovare una loro legittimazione solida (non inficiata, ad esempio, dal relativismo o, peggio, dal nichilismo).
Ci troviamo, a mio avviso, ancora in una fase molto simile a quella in cui si trovano di solito gli adolescenti, quando rinnegano l’autorità dei genitori (specie quella del padre), con i valori ad essa collegati, e nello stesso tempo faticano a identificare valori solidi, maturati autonomamente, coi quali sostituire quelli appena rinnegati.
Quindi non si può negare (come mi pare faccia Roberto Esposito) che la crisi delle democrazie contemporanee è anche figlia della secolarizzazione; o, meglio, della secolarizzazione ancora incompiuta.
E qui veniamo alla seconda delle interpretazioni citate da Esposito. Che, a dire il vero, non è molto chiara nella formulazione che ne dà l’autore. Ma che, per il modo in cui la interpreto io, è da intendere: la secolarizzazione ha avviato un processo, un percorso, ma non è ancora stata in grado di portarli alle estreme conseguenze.
Ad esempio, ancora non è stata in grado di coniugare insieme e adeguatamente due valori fondamentali, che di quel processo sono figli: il valore della libertà (che nelle società odierne si è tramutato in liberismo, cioè nella sacralizzazione dell’assoluta libertà dei mercati) e quello dell’uguaglianza (che nelle società socialiste, che hanno provato a metterlo in pratica, spesso si è tramutato in omologazione e massificazione degli individui).
Per non parlare poi del valore della fraternità, che pure era scritto sulla carta della Rivoluzione Francese, ma lì è rimasto, non è mai stato concretamente praticato; anzi ben presto è stato completamente rimosso, cancellato dal vocabolario politico.
Terza riflessione: esiste il problema di una “frattura… tra valori e norme”, come dice Esposito, cioè di una legittimazione (sul piano simbolico) delle norme? Certo, che esiste! Non bastano, infatti, le norme a garantire che certi comportamenti diventino agire diffuso, se le norme non sono la conseguenza di un sentire comune, diffuso, cioè della introiezione profonda di certi valori.
Manco nelle monarchie assolute di una volta, manco nelle dittature più feroci e autoritarie bastano le norme a garantire loro l’obbedienza, se esse non sono state in qualche modo introiettate e legittimate ad un livello che non è solo giuridico, ma è soprattutto simbolico (stavo per dire “trascendente” il diritto positivo) dai cittadini (o, per usare un termine più appropriato nei due casi sopra citati, dai sudditi) che a quelle norme sono chiamati ad obbedire.
Lo sappiamo bene noi a Napoli, dove le norme, le leggi sono ovviamente le stesse che vigono in tutta Italia, ma dove sussiste un livello di infrazione di queste norme superiore alla media nazionale. E questo evidentemente perché a Napoli è più carente la sensibilità civile verso certi valori, che (solo essa) può garantire una buona convivenza civile, cioè il rispetto delle leggi.
La legittimazione delle norme, di cui parla Esposito e della cui carenza le democrazie contemporanee soffrono, può sopravvenire solo nella misura in cui i valori fondanti di queste democrazie (per me libertà, uguaglianza e fraternità, tutti e tre, nessuno dei tre escluso) vivano non solo nelle leggi scritte ma nella coscienza e nell’agire, se non di tutti i cittadini, almeno della grande maggioranza di essi.
Venuto meno definitivamente il potere simbolico e sacrale su cui si fondavano le monarchie (il Re è tale per volontà divina), le democrazie possono fondarsi e trovare legittimità solo sulla condivisione consapevole e diffusa, quindi sulla introiezione profonda, dei valori da cui quelle democrazie sono nate. Non ci sono altre vie. Meno che mai scorciatoie.
Oggi le democrazie vivono una crisi molto seria perché la condivisione consapevole e profonda dei valori che soli possono costituirne il fondamento subisce un attacco da parte di poteri oligarchici (non più fondati sul lignaggio, ma sul censo) che mai si erano rassegnati alla perdita definitiva dei loro privilegi e a una distribuzione diffusa di diritti uguali per tutti. Poteri, dunque, costitutivamente e strutturalmente, se non formalmente, antidemocratici.
Questi poteri oligarchici si fanno forti della loro posizione economica ed esercitano un vero e proprio ricatto sulla politica, che da tempo ha generalmente rinunciato alla sua autonomia (ammesso che l’abbia mai veramente avuta) ed è diventata prona ai cosiddetti mercati (cioè ai poteri forti). E qui il cerchio si chiude.
I poteri oligarchici traggono forza e legittimazione da questa specie di deus ex machina dal forte valore simbolico, che ha soggiogato, sedotto l’opinione pubblica, è diventato, oramai, quasi pensiero comune e aspira ad essere pensiero unico: di fronte ai mercati non ci si può che arrendere, alzare le mani, per piegarsi alla loro neutra (?) e ineluttabile legge.
E’ per me evidente che questo ragionamento ha a che fare col dibattito attualmente in corso in Italia per riformare la Costituzione del 1948 e la stessa legge elettorale, varata appena qualche mese fa (e oggi nuovamente messa in discussione). Non è un caso (ed è perciò giusto) che Roberto Esposito nella coda del suo articolo vi faccia cenno.
La Costituzione del 1948 risulta, infatti, incompatibile con l’attuale sistema capitalistico neoliberista: è troppo “socialista” (per usare il giudizio diventato famoso dato dalla nota agenzia di rating internazionale Standard and Pool’s)! Bisogna quindi revisionarla. Almeno nei suoi meccanismi pratici, operativi (quelli di cui si compone la seconda parte). Poi i principi (quelli scritti nella prima parte) potranno pure rimanere gli stessi: tanto non serviranno più a niente!
Di fronte a messaggi dal forte valore simbolico, entrati abbondantemente nell’immaginario collettivo, grazie all’azione penetrante dei mass-media, e diventati oramai quasi dei totem, quali “ce lo chiede l’Europa”, “lo esigono i mercati”, le democrazie odierne (in primis, quella italiana) appaiono sguarnite, incapaci di rispondere all’attacco loro mosso non solo con un insieme di norme e di apparati istituzionali, ma con un universo simbolico e di valori adeguato.
Appaiono. Ma è realmente così? O dietro un’apparente debolezza si nascondono ancora sufficienti anticorpi, in grado di reggere all’attacco e respingerlo? E’ difficile dirlo. Anche se una risposta a queste domande si avrà a breve (almeno in Italia), col Referendum confermativo delle riforme costituzionali approvate recentemente dal Parlamento, referendum che si svolgerà nel prossimo autunno.
Giovanni Lamagna