Tre avvenimenti politici significativi della settimana appena trascorsa.
Nei giorni scorsi tre avvenimenti politici, pur nella loro grande diversità, hanno a mio avviso avuto una certa importanza e meritano perciò di essere commentati: – il referendum consultivo sull’ATAC a Roma; – la manifestazione Sì Tav a Torino; – la manifestazione romana contro il decreto sicurezza.
Il referendum consultivo sull’ATAC a Roma.
I quesiti posti erano due e riguardavano “la messa a bando dei servizi di trasporto pubblico locale oggi gestiti in affidamento diretto da Atac”.
Il primo quesito chiedeva “ai romani di esprimersi sulla possibilità “che Roma Capitale affidi tutti i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e su rotaia mediante gare pubbliche, anche a una pluralità di gestori e garantendo forme di concorrenza comparativa, nel rispetto della disciplina vigente a tutela della salvaguardia e la ricollocazione dei lavoratori”.”
Il secondo, invece, verteva “sulla possibilità che l’amministrazione “favorisca e promuova l’esercizio di trasporti collettivi non di linea in ambito locale a imprese operanti in concorrenza”. Tradotto significherebbe che, secondo il progetto dei promotori del referendum, dopo lo svolgimento del bando di gara la funzione di pianificazione e controllo del servizio pubblico resterebbe all’ente pubblico che continuerebbe a disegnare le linee, a stabilire il costo del biglietto, e indicare la frequenza con la quale passano gli autobus. Lo svolgimento materiale del servizio sarebbe invece compito del vincitore della gara il cui operato sarebbe sottoposto alla stretta sorveglianza dell’ente pubblico. Il non rispetto di quanto indicato nel contratto di servizio e degli standard fissati sarebbe causa di sanzioni che potrebbero arrivare fino alla revoca della concessione. Il servizio, anche se eventualmente diviso in più lotti, verrebbe sempre svolto in monopolio e a condizioni di qualità e prezzo stabilite dal contratto di servizio siglato con Roma Capitale”.
Il secondo quesito del referendum proponeva invece “la promozione di ulteriori servizi di trasporto collettivo come car o bike sharing all’interno di un quadro di coordinamento pubblico”.
In pratica il referendum poneva di fronte alla solita scelta che si va ponendo (anzi imponendo) oramai da trent’anni a questa parte: l’ente pubblico dismette la gestione diretta di un servizio pubblico, la affida a dei privati tramite una gara e mantiene per sé il solo controllo/sorveglianza della gestione privata del servizio, perché essa garantisca determinati standard fissati nel contratto di affidamento.
Tutto condivisibile in linea teorica. A parte il principio (invece tutto da dimostrare: sarebbe venuta l’ora di rimetterlo una buona volta in discussione!) che una gestione privata è sempre migliore, cioè più efficiente, di una gestione pubblica.
Principio che la storia di questi anni mi sembra abbia dimostrato ad abundatiam essere falso. Vedi la vicenda (buon ultima, ma non certo sola) della gestione della autostrade italiane, sotto gli occhi di tutti dopo il crollo del ponte Morandi a Genova.
Purtroppo questo mantra che “privato è bello e pubblico è brutto” in questi 30 anni è riuscito a fare breccia nel pensiero di molti italiani, costituendo un vero e proprio pensiero (quasi) comune, molto diffuso quanto banale, se non del tutto infondato.
Pensiero comune (anche se, per fortuna, non unanime) al quale corrisponde oramai un vero e proprio blocco sociale, il cui nocciolo duro è costituito dalla borghesia imprenditoriale e da quella delle professioni alte, ma che si è allargato anche a molti lavoratori garantiti.
Un blocco sociale che ha fatta breccia anche in settori di popolazione che con esso non hanno nessun interesse da spartire, anzi hanno interessi del tutto contrapposti, finendo per costituire un assemblaggio politico trasversale, che va da Forza Italia al PD passando dai radicali e comprende anche vasti settori della stessa Lega di Salvini.
Chi domenica scorsa ha votato SI’ al referendum sull’ATAC a Roma (a dire il vero, una sparutissima minoranza) fa parte (anche se qualcuno non ne è consapevole) di questo blocco sociale e di questo assemblaggio politico. Se non altro ne ha favorito il gioco e gli interessi economici e politici, purtroppo anche senza volerlo.
La manifestazione Sì Tav a Torino.
La manifestazione ha avuto un indubbio successo numerico e quindi va presa come segnale politico serio, da non sottovalutare. Ha ricordato analoga manifestazione di massa: quella dei quarantamila che nel 1980 sfilarono contro lo sciopero prolungato dei lavoratori Fiat, che stavano occupando la fabbrica, e a favore dei vertici dell’azienda.
Anche allora la città di Torino si divise: da una parte gli imprenditori, gli esponenti delle alte professioni e il ceto impiegatizio garantito. Dall’altra gli operai (con le loro organizzazioni, soprattutto Fiom—Cgil e PCI) che già da qualche anno stavano battendo in ritirata dopo le grandi conquiste della fine degli anni ’60 e gli inizi degli anno ’70.
Oggi la divisione è un po’ diversa; vede da un lato sostanzialmente lo stesso schieramento che nel 1980 si schierò pro Fiat; dall’altro innanzitutto gli abitanti (almeno il grosso di essi) della val di Susa e lo schieramento politico che da anni si batte contro le grandi opere, giudicandole un danno contro l’ambiente ed uno spreco economico: in primis il M5S.
La contrapposizione riproduce in maniera singolare quella realizzatasi a Roma rispetto al tema posto dal referendum dei radicali: le forze sociali e politiche si sono divise e contrapposte in maniera simile e omogenea a Roma come a Torino.
Questo dovrebbe far riflettere seriamente coloro che a sinistra non vedono le profonde differenze (di natura culturale prima che politica) tra il M5S e la Lega, finendo per appiattirli (scioccamente) in un unicum indistinto e sostanzialmente di destra, perfino estrema.
Rispetto alle ragioni dell’una o dell’altra parte, rimando agli ottimi articoli che nei giorni scorsi hanno pubblicato Tomaso Montanari (“La sinistra è finita sotto il Tav” del 15 novembre su “Il Fatto quotidiano”), Angelo d’Orsi (“A volte ritornano. I cosiddetti 40 mila del Sì-Tav” del 13 novembre su Micromega online) e Marco Revelli (“Le “fate ignoranti” di Torino” del 15 novembre sul sito “Volerelaluna”).
Sono articoli nettamente schierati a favore dei No Tav e contro i Sì Tav, ma, siccome li condivido profondamente, mi permetto non solo di segnalarli all’attenzione dei miei (eventuali) lettori, ma di riportarne (sinteticamente) alcuni degli argomenti, quelli che ritengo i più significativi.
- Il Tav è un’opera inutile. Lo afferma tra gli altri il “commissario dell’Osservatorio sul Tav (che non è una istituzione terza, ma un’emanazione dell’opera)”. Il Tav è “un’opera fuori tempo, che serve solo a chi la costruisce”. Il Tav è “un’opera insostenibile sul piano ambientale, e su quello democratico”. “…tutti, dicansi tutti, gli studi indipendenti (per esempio del Politecnico di Torino) hanno inequivocabilmente dimostrato che non solo non sussiste alcuna necessità di questa “grande opera”, il cui percorso è già coperto da una linea esistente e enormemente sottoutilizzata; ma hanno dimostrato altresì che i costi dell’opera (pubblici), esosi, e i benefici (privati) minimi; che il lavoro innescato non compenserebbe gli investimenti; che il danno ambientale, paesaggistico e idrogeologico avrebbe conseguenze, tanto sulla stabilità del territorio, quanto sul turismo, gravissime”.
- La piazza di Torino (al contrario di quello che hanno voluto far credere i suoi organizzatori e molti giornali, in primis quello del gruppo Repubblica-Espresso) era “una piazza per nulla civica, e invece dominata dal blocco di partiti che hanno governato il Piemonte e l’Italia degli ultimi decenni: Pd, Forza Italia, Lega”.
- “Una piazza autoselezionatasi non attraverso una conoscenza del Tav (come dichiarato candidamente da una delle promotrici), ma invece per censo e in base alle convenienze professionali”.
E’ stato strabiliante sentir dire, la sera dopo, da Lilli Gruber ad “Otto e mezzo”, da una delle sette organizzatrici della manifestazione, certa Patrizia Ghiazza”: “posso assolutamente dire che non siamo, né io né le altre organizzatrici, competenti per poter entrare nel merito degli aspetti tecnici e ambientali dell’opera”.
“Esattamente all’opposto del movimento contro cui tutte quelle persone sono state chiamate in piazza, il movimento No-tav, che ha sempre fatto, fin dalla sua origine, per più di vent’anni, puntigliosamente, quasi ossessivamente, dei dati tecnici dell’opera (flussi di traffico, impatto ambientale, dimensione dei costi e dettagliate voci di spesa, alternative operative), e dell’informazione su di essi, il principale argomento della sua opposizione”.
- A dimostrazione, inoltre, che era “una piazza di destra” l’atteggiamento, addirittura cinico, esibito, senza reticenze, nei confronti degli abitanti della val di Susa da un’altra delle “fatine” torinesi, Giovanna Giordano, che a proposito della resistenza dei valligiani ha detto, testualmente, ad Agorà: “Se ci credono veramente e amano la decrescita felice, qui intorno in Piemonte ci sono tante meravigliose valli dove possono comprarsi una mucca e una pecora e decrescere felicemente. Ma che lascino vivere noi.”.
Ci sarebbe da replicare, ammesso che ne valesse la pena: “E se il percorso della Tav Torino-Lione avesse anche solo sfiorato qualcuna delle zone dove vivono i manifestanti di sabato scorso? Come avrebbero reagito loro che non amano la decrescita felice? Sarebbero andati a vivere altrove, come – molto amabilmente – consigliano agli abitanti della val di Susa?
“In quel “Che lascino vivere noi!” (abbandonando le case “loro“) c’è tutto un programma, o meglio un profilo: da razza padrona. Da ceto medio-alto predatorio, che non vede l’altro perché ripiegato su di sé, sulle proprie credenze infondate ma indiscutibili, la propria rete di pari elevata a mondo, i propri piccoli interessi promossi a Nomos. Il salotto di nonna Speranza con le sue “piccole cose di pessimo gusto” proposto come modello estetico assoluto”.
- “Mauro scrive che la piazza di Torino si è opposta a una visione “pauperista”: una parola finora usata, in questo senso, da Silvio Berlusconi. In un’Italia con 18 milioni di cittadini sulla soglia di povertà una sinistra che riparta dalla piazza dei ricchi e dalle grandi opere inutili non solo non è una sinistra: è anche morta”.
- “… il dualismo destra/sinistra viene ridisegnato come modernità/conservazione, e l’etichetta della conservazione viene applicata sulla sinistra, quella che si ostina a distinguere un conservatorismo dei valori (la Costituzione e i suoi princìpi, il patrimonio culturale, la salvaguardia del territorio e dell’ambiente…)”.
- “La marcia delle orgogliose “madamine” torinesi (che pena! Hanno persino lanciato l’hashtag: #madamintoo…), in realtà, prima e più che rivendicare una linea ferroviaria, di cui nulla sanno, esprimeva una speranza, illusoria, a dire il vero: che quel treno dei sogni impedisse il declino di Torino, declino attribuito, scorrettamente, all’Amministrazione 5 Stelle, mentre quel declino viene da molto lontano, da quando la Fiat, assai prima di Marchionne, decise di lasciare la città… L’illusione che il TAV possa interrompere quel declino è a dir poco patetica”.
- “… il TAV… dopo innumerevoli cambiamenti di percorso, di motivazione, di bilancio, oggi non è più una linea per persone ma essenzialmente per merci”. Quindi è del tutto falso che esso permetterebbe alle persone di raggiungere più velocemente la Francia dall’Italia e viceversa.
- “… il Presidente della Camera di Commercio, tal Vincenzo Ilotte,” ha dichiarato senza un attimo di resipiscenza che “La Città si è formalmente espressa sulla Tav, non credo ci sia molto da discutere”.
Come se bastasse la mobilitazione, per quanto ampia, di una piazza a garantire la volontà “formale” di un’intera città. E il giudizio delle Istituzioni (ad esempio, quello del Consiglio Comunale, eletto poco più di due anni fa ed espressosi a maggioranza assoluta contro la Tav) non contasse nulla. A dimostrazione di quale idea di democrazia ci fosse dietro quella piazza.
La manifestazione romana contro il decreto sicurezza.
Poche parole, infine, sulla manifestazione di sabato scorsa a Roma contro il Decreto Salvini (riguardante la sicurezza e la immigrazione), contro il governo e contro il razzismo. Manifestazione anche questa molto riuscita: gli organizzatori (gruppi, associazioni, movimenti…) parlano addirittura di centomila partecipanti.
Il mio giudizio qui è articolato.
Non posso non condividere l’opposizione, anche dura, ad alcune misure contenute nel decreto e soprattutto ai toni truci adottati dal ministro dell’Interno Salvini.
Allo stesso tempo ci tengo a sottolineare ancora una volta che la posizione della sinistra (che ha partecipato alla manifestazione di sabato) in tema di sicurezza e di immigrazione mi sembra assolutamente inadeguata, quasi che il problema per essa non esista, non si ponga neppure.
Io ritengo, invece, che la sinistra (nelle sue varie articolazioni) non solo dovrebbe riconoscere l’esistenza del problema, ma soprattutto dovrebbe impegnarsi a proporre misure (concrete e realistiche) alternative a quelle di Salvini e del governo, in grado in pari tempo di offrire un’accoglienza dignitosa agli immigrati e di sconfiggere/superare resistenze e paure diffuse di fronte al fenomeno immigratorio.
Senza limitarsi, quindi, (come spesso fa) agli slogan, a volte insopportabilmente retorici, o a invocare modelli come quello di Riace, che, francamente, al di là del giudizio sugli aspetti giuridici della vicenda Mimmo Lucano, mi appaiono assai poco generalizzabili e quindi non realmente risolutivi del problema immigratorio.
In questa sinistra, che si limita ad affermare il principio (da me del tutto condiviso) “restiamo umani!” (come se tutti gli altri, quelli che non hanno aderito alla manifestazione, non volessero esserlo, anzi non lo fossero), non mi riconosco oramai più. Perché anche questa sinistra (non solo il PD, da tempo non più “sinistra”) è oramai lontana dalle persone comuni, con le loro paure e le loro preoccupazioni.
A queste persone (così diverse dal militante e dall’attivista tipo della sinistra), invece, bisogna offrire risposte e soluzioni convincenti e concrete, non solo slogan retorici od appelli moralistici, che mirano a farle sentire unicamente e sterilmente in colpa, invece che muoverle positivamente a compassione e a solidarietà.
Giovanni Lamagna