Un ragazzo diciassettenne accoltellato a Napoli.
L’accoltellamento, avvenuto due giorni prima di Natale a Napoli, di Arturo, un ragazzo diciassettenne, da parte di una banda di minorenni, più piccoli di lui, rappresenta, a mio avviso e non temo di esagerare, uno dei punti più bassi nella storia della convivenza nella nostra città e probabilmente un ulteriore salto in avanti del suo degrado economico, sociale, ma soprattutto culturale e civile.
Di questo episodio parecchi elementi colpiscono e assurgono ad un forte valore simbolico. Per questo a mio avviso segnano un salto di qualità nella già tormentata storia di degrado sociale e civile della nostra città.
Il primo. E’ avvenuto non di notte, né di prima mattina né in tarda serata. Quando gran parte della città è chiusa in casa. No, è avvenuto in pieno giorno, appena al crepuscolo, verso le cinque del pomeriggio. Con i negozi, quindi, in piena attività, molta gente per strada e un traffico brulicante.
Il secondo. Non è avvenuto in una delle enclave storiche della città (tipo la Sanità, Forcella, i Quartieri Spagnoli) o in uno dei suoi quartieri di estrema periferia (Scampia, Barra, Ponticelli, Soccavo…). No, è avvenuto in pieno centro storico, in una delle principali arterie di Napoli, in via Foria.
Il terzo. E’ avvenuto alla vigilia di Natale, in un periodo in cui la retorica (specie quella napoletana) vorrebbe regnasse o fosse quantomeno prevalente un clima di pace, di festa, di gioia, di allegria, di armonia dei cuori.
Il quarto. Ha visto protagonisti criminali non ragazzi della seconda adolescenza o della prima giovinezza (come era già avvenuto innumerevoli altre volte, cosa alla quale oramai ci siamo un po’ assuefatti), ma dei quasi ancora bambini, della prima fase puberale: il più grande aveva 15 anni, altri sembra fossero addirittura dodicenni.
Il quinto. L’episodio non ha visto fronteggiarsi la Napoli del degrado economico-sociale e quello dell’alta borghesia o del vistoso benessere, come era avvenuto altre volte: cosa che poteva dare anche un qualche minimo di plausibilità sociologica al gesto comunque criminale. No, il gesto di una violenza estrema, è stato compiuto contro un altro adolescente (quindi non contro uno status symbol, contro il rappresentante di un qualche potere economico o sociale); e per giunta contro un adolescente di una condizione socio-economica medio borghese, non certo alto borghese.
Il sesto. Ancora non sono chiare le “motivazioni” che hanno potuto spingere i ragazzini criminali a compiere il loro gesto efferato. In altre occasioni azioni simili erano state motivate dal furto del motorino (oggetto comunque di un qualche valore economico, sia pur minimo). Qui si parla del tentativo di rubare un cellulare: forse, non è manco del tutto appurato.
Il settimo. I ragazzini assalitori questa volta non si sono limitati a sfottere, a provocare, a sputacchiare, a insultare, a prendere a schiaffi il malcapitato che entrava nella loro sfera di azioni, come da anni avviene in alcune piazze o strade di Napoli. No, questa volta hanno utilizzato i coltelli, anzi hanno inferto ben venti coltellate e pare avessero proprio intenzione di uccidere.
La violenza compiuta risulta, quindi, del tutto sproporzionata rispetto all’obiettivo, per quanto criminoso. Potremmo anche dire, dunque, che è stata una violenza immotivata, gratuita. Una violenza fine a se stessa; o, meglio, tesa a dimostrare a qualcuno (più alto in grado) di essere capaci comunque di compierla, di essere quindi utilizzabili in azioni aventi in futuro scopi più concreti e “importanti”.
Per tutti questi elementi, penso che questo episodio rappresenti un ulteriore salto di gradino nella escalation della violenza a Napoli. Di fronte al quale non solo l’opinione pubblica non può e non deve restare indifferente, ma non può e non deve neanche rassegnarsi e assuefarsi rapidamente, nel giro di pochi giorni, come troppe volte ha fatto in passato in occasioni simili.
E’ un episodio che provoca (o almeno dovrebbe provocare) riflessioni che attengono alla sfera economica, a quella sociale, a quella psicologica, a quella culturale, a quella urbanistica, a quella politica, a quella giuridica, a quella dell’ordine pubblico.
Innanzitutto la sfera economica. Non ci sono dubbi che lo stato di sottosviluppo economico della nostra città, con la cronica mancanza di lavoro e con la conseguente condizione di povertà di larghi strati della nostra popolazione cittadina, stia alla base e, almeno in parte, spieghi, la situazione di violenza endemica che da molti anni affligge Napoli e il suo hinterland.
Occorrerebbe, pertanto, un intervento straordinario di politica economica, che fosse in grado di incentivare attività economiche di tipo tradizionale e di crearne di nuove, in modo da corrispondere alla forte domanda di lavoro che oggi rimane in gran parte inevasa, per cui si rivolge spesso per essere soddisfatta verso il mondo della criminalità organizzata, che da essa, pertanto, trae continua linfa e manovalanza.
Questo intervento straordinario non può essere richiesto a né tantomeno assolto dall’amministrazione cittadina, che non ne ha le competenze, gli strumenti e le risorse (anche se pure essa ha in questo ambito un suo ruolo da svolgere), ma deve far capo al governo regionale e, soprattutto, a quello nazionale. Il governo cittadino dovrebbe farsi carico di sollecitarlo con forza e in maniera costante, denunciando all’occorrenza le inadempienze dei due attori principali.
L’intervento sociale dovrebbe riguardare innanzitutto l’urbanistica, cioè l’assetto abitativo, quello viario e quello dei trasporti, di interi quartieri del centro storico e della periferia di Napoli, per farli uscire dalla loro condizione in alcuni casi di vera e propria enclave, in altri di grave degrado e insufficienza di servizi.
Dovrebbe riguardare poi la formazione. Da questo punto di vista occorrerebbero: 1) un piano straordinario di restauro o di nuova costruzione di edifici scolastici; 2) la destinazione ad essi, tramite opportuni e adeguati incentivi di varia natura, del personale dirigente, insegnante ed ausiliario il più qualificato possibile; 3) l’individuazione e la messa in opera di itinerari formativi speciali, in grado di attrarre l’interesse di una platea di genitori e studenti con esigenze e problematiche non ordinarie; 4) la creazione di centri sociali e ricreativi in grado di favorire un’aggregazione positiva; 5) la nascita di presidi sanitari e di consultori psicopedagogici, con lo scopo di favorire una procreazione responsabile ed una cura educativa adeguata della prole.
Un terzo intervento (non certo il primo, ma neanche ultimo, bensì parallelo, contemporaneo ai primi due) dovrebbe essere quello che attiene alle due sfere (distinte, ma in qualche modo collegate) delle norme giuridiche e della gestione dell’ordine pubblico.
Alcune norme giuridiche vanno a mio avviso rapidamente riviste. Come quella, ad esempio, che prevede l’immediata restituzione ai genitori dei minori sotto una certa fascia di età trovati a delinquere, perché non punibili.
Qui non è in discussione l’astratta distinzione teorica tra un reato che viene commesso in piena consapevolezza (e, quindi, è punibile) e quello che viene commesso da chi non è in grado (per inidoneità mentale o per età) di intendere e di volere (e, quindi, non è punibile).
Qui, a mio avviso, ciò che conta e che deve prevalere, per prescrivere misure detentive, è l’obiettiva (ed, ovviamente, accertata) capacità di un soggetto (minorenne o maggiorenne che sia) di delinquere, cioè di compiere azioni criminose, a danno della collettività e, in qualche caso, anche di se stesso.
In presenza dell’obiettiva e accertata capacità di delinquere di un soggetto, questa va immediatamente ed efficacemente bloccata, resa impotente. La collettività ha il diritto di difendersi, di tutelarsi. Non può lasciare libero un soggetto obiettivamente pericoloso, in nome della sua irresponsabilità anagrafica e, quindi, psicologica.
Poi, ovviamente, si porrà il problema del tipo di detenzione da imporre al soggetto socialmente pericoloso. Ed io sono per assicurare anche al più pericoloso dei delinquenti gli spazi, i tempi e gli strumenti idonei per promuoverne il recupero e il reinserimento sociale.
Ma, a fronte di questa esigenza sacrosanta, di natura civile e democratica, prioritaria è per me quella di neutralizzare la pericolosità sociale del colpevole di un reato. Se non si garantisce in primo luogo questa, non si potrà soddisfare neanche l’altra.
L’altra questione fondamentale e prioritaria è quella dell’ordine pubblico.
Uno Stato che lascia in mano al controllo della criminalità organizzata interi quartieri del suo territorio, che lascia che avvengano (quasi) alla luce del sole o restino impuniti alcuni reati, come se essi fossero di fatto non perseguibili, non è uno Stato democratico, anzi non è, a dirla proprio tutta, neanche un vero e proprio Stato.
Quindi fondamentale, anzi decisivo e prioritario, è che lo Stato riassuma o assuma (laddove non lo ha mai di fatto avuto) il controllo del territorio e che persegua i reati, considerati tali dalle sue leggi formalmente vigenti.
In alcune zone del paese, in alcuni quartieri occorrerà dunque aumentare i presidi di polizia, renderli capillari e, all’occorrenza, asfissianti. Il cittadino onesto, insomma, si dovrà sentire tutelato e protetto, quello potenzialmente disonesto sotto controllo e a rischio di cattura.
Dovranno essere aumentati i servizi di pattugliamento mobili e quelli di osservazione con telecamere fisse.
Dovranno essere controllati e, appena possibile, snidati i covi della malavita organizzata, in modo da estirparne radici e ramificazioni.
Si dirà ( e prevengo l’obiezione): ma tutti questi interventi hanno dei costi altissimi e attualmente (anche a causa della grave crisi economica in corso e dell’enorme deficit del bilancio pubblico) lo Stato non ha la possibilità di metterli in campo.
Le mie risposte a questa obiezione sono due.
La prima: nel calcolare la spesa occorrente, si tiene conto dei costi che comunque lo Stato deve sobbarcarsi per riparare i danni una volta avvenuti? non sarebbe meglio che la gran parte di questa spesa fosse destinata, invece, a prevenire i danni prima che essi si verifichino?
La seconda: se mancano i soldi per affrontare questi problemi, allora rassegniamoci (lucidamente e cinicamente) a che essi rimangano insoluti, anzi che incancreniscano ogni giorno di più, fino a rendere totalmente impossibile (almeno ai cittadini onesti e laboriosi) la vita in questa città.
Giovanni Lamagna