3.10. Conclusioni.
Sono perfettamente consapevole che queste mie riflessioni si presteranno alla critica (facile?) di buonismo, ingenuità, utopismo. In altre parole alla contestazione di ipotizzare scenari e prospettare soluzioni magari belle in teoria, ma impossibili da realizzarsi nella pratica.
A queste critiche e contestazioni, per me scontate, vorrei rispondere con alcuni passaggi dell’editoriale di Stefano Rodotà comparso su “la Repubblica” del 12 febbraio scorso, intitolato “La dignità della persona”. Così scrive Rodotà:
“– Siate realisti: chiedete l’impossibile- Questo ammonimento, che Albert Camus affida a Caligola, dovrebbe rappresentare un costante criterio di riferimento per tutti coloro che pensano e agiscono politicamente – e comunque identificano la politica con il cambiamento. Il rischio concreto, altrimenti, è quello di una sorta di tirannia dei fatti che, se considerati come un riferimento da accettare senza alcuna valutazione critica, come l’unica misura e regola del possibile, ben possono trasformarsi in una trappola o in una prigione. Una questione di evidente rilievo culturale e che, se trasferita sul terreno politico, può aprire una strada verso finalità sostanzialmente conservatrici.
E’ quel che sta accadendo in molti casi, con una scelta che non può essere considerata inconsapevole o innocente. L’attribuire ai nudi fatti la competenza a dettare le regole della vita sociale e politica dà origine ad una sorta di naturalismo che sconfigge la necessaria e consapevole artificialità della regola giuridica e della decisione politica. E che, nella sostanza, trasferisce il potere delle scelte delle procedure democratiche alle dinamiche di mercato. E’ così nato un nuovo diritto naturale, al quale viene attribuito una specifica legittimazione grazie al riferimento ad un mondo globale dove non sarebbe possibile ritrovare soggetti che abbiano la competenza per governarlo. Conclusione che trascura il passaggio da una concentrazione ad una moltiplicazione dei soggetti e dei luoghi delle decisioni, sì che il problema è piuttosto quello di creare le condizioni istituzionali per la democraticità di questi processi per quanto riguarda partecipazione e controllo. In questa prospettiva non muta soltanto la dimensione spaziale, con la globalizzazione, ma pure quella temporale, con la rilevanza assunta dall’insieme delle dinamiche che determinano e accompagnano nel tempo l’azione di una molteplicità di attori.
L’attuale discorso pubblico mette in evidenza, quasi in ogni momento, la necessità di spingere lo sguardo oltre gli specifici fatti che la realtà quotidiana concretamente propone, di ragionare considerando anche la prospettiva di lungo periodo. Compaiono con insistenza parole che invitano, spesso in maniera perentoria, a riflettere e ad agire seguendo vie che portano, si potrebbe dire, ad incorporare il futuro nel presente. Si insiste sull’utopia, fin dal titolo dei libri, e ssi accenna addirittura alla profezia. Si riscopre l’utopia concreta di Marc Bloch, sull’utopia dialogano Paolo Prodi e Massimo Cacciari. Il senso di questi riferimenti, fino a ieri inusuali nella discussione corrente, è evidente. La riflessione e la stessa azione politica non possono essere amputate della dimensione della progettazione, che molto ha sofferto in questi anni per una sua impropria identificazione con l’abbandono delle ideologie. Nel momento in cui si torna a sottolineare l’impossibilità di trascurare la discussione sulle idee, non dovrebbe essere troppo tardi per acquisire piena consapevolezza del fatto che la cattiva politica è sempre figlia della cattiva cultura.”
Penso che queste mie riflessioni non potessero concludersi con una citazione più adatta e autorevole di questa.
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Bibliografia essenziale:
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