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31 marzo 2019
Questione sociale e questione abitativa-urbanistica.
Una delle manifestazioni più vistose e macroscopiche della stratificazione sociale, cioè della divisione della nostre società in classi e ceti, è il tessuto urbano e abitativo.
Così nelle nostre città possiamo riconoscere a vista le case del proletariato, quelle del ceto medio e quelle del ceto alto borghese. Così come possiamo riconoscere a vista i quartieri del proletariato (in genere dislocati nella estrema periferia delle nostre città), quelli della classe alto-borghese (situati nelle zone più centrali o residenziali o panoramiche delle città) e quelli della middle class (situati giusto in mezzo tra i “quartieri bene” e quelli della periferia degradata).
La carta topografica della nostra città è, insomma, la radiografia fedele della sua articolazione sociale.
Tanto è vero che il tentativo di modificare quest’ultima, nel senso di una diminuzione delle differenze sociali nella prospettiva di una maggiore eguaglianza, trova uno dei suoi punti di resistenza maggiori (ancorché poco considerati e valutati) proprio nella distribuzione sociale degli abitanti di una città nei suoi vari quartieri.
Un’ipotetica trasformazione sociale in senso egualitario dovrebbe, infatti, comportare anche una diversa distribuzione degli abitanti di una città nelle sue diverse aree abitative, dovrebbe avere come esito un vero e proprio rimescolamento dell’intera popolazione cittadina nei diversi quartieri della città.
Ma, a parte che nessuna forza politica (che io sappia) ha mai messo questo obiettivo all’interno del suo programma, pensiamo a quanto sarebbe difficile, per non dire impossibile, realizzare una simile prospettiva urbanistica, anzi politica, prima che urbanistica.
Ci si scontrerebbe immediatamente con la questione della proprietà. Ma non solo. Bisognerebbe affrontare anche la questione della gestione dei beni immobili: è ovvio che la gestione di una casa sita in periferia non comporta gli stessi costi di una casa sita in un quartiere bene.
Questi problemi si possono risolvere in maniera autoritaria? Certo che no! Ma d’altra parte, se non te li poni nemmeno, in che senso puoi dire di puntare ad una società veramente e radicalmente alternativa?
Possiamo seriamente pensare ad una società se non proprio di eguali in senso letterale almeno un poco più equa di quella attuale, se non prendiamo neanche in considerazione l’idea di modificare, nel senso di una maggiore omogeneità, gli attuali assetti abitativi ed urbani?
Giovanni Lamagna