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10 marzo 2023
“Dall’urgenza di attenuare qui e ora la sofferenza delle persone derivava il “riformismo radicale” di Caffè, allergico tanto ai paladini del sistema che non ritengono non vi sia nulla da riformare – presupponendo che il mercato, se lasciato a sé, sia in grado di produrre risultati ottimali e che dunque qualunque intervento pubblico sia da considerarsi dannoso – quanto ai rivoluzionari che non reputano possibile alcuna riforma e dunque vedono come unica possibilità la “fuoriuscita” dal sistema stesso, nella millenaristica attesa di una “soluzione palingenetica”. Avversari a cui capitava spesso – e capita ancora – di trovarsi, inconsapevolmente, dalla stessa parte della barricata, quella della difesa dello status quo. (pag. 58)
Caffè era molto scettico sull’ipotesi di un crollo imminente del capitalismo, che al contrario considerava ancora molto solido.
E vedeva nel “crollismo” di una certa sinistra e “nella sua delegittimazione di qualunque miglioramento gradualistico del sistema, un involontario alleato del sistema stesso.” (pag. 58)
A pag. 59, Fazi attraverso le parole di Caffè, traccia poi l’identikit del riformista.
“Nel lungo periodo siamo tutti morti” (pag.60)
“… il periodo lungo non è che un insieme di periodi brevi e non viceversa” (pag.60)
“Il pieno impiego non è soltanto un mezzo per accrescere la produzione e intensificare l’espansione. E’ un fine in sé, perché porta al superamento dell’atteggiamento servile di chi stenta a procurarsi un… lavoro, o ha il continuo timore di esserne privato.” (pag.60)
“A tal fine Caffè rivendicava… il ruolo dello Stato quale “occupatore di ultima istanza”… Per Caffè, insomma, era necessario “abbandonare l’idea che la creazione (di posti di lavoro) venga dal mercato”. Perché un lavoro può essere socialmente utile anche se non produce utili (anzi, le due cose tendono a essere inversamente proporzionali)” (pag.61)
Caffè criticò sempre la “politica dei due tempi” – sacrifici oggi e contropartite domani – , un artificio retorico che ha contraddistinto tutta la storia del secondo dopoguerra, fino ai giorni nostri. (pag.61)
“Mantenere su due piani distinti il problema tecnico della produzione e quello sociale dell’equa distribuzione significa praticamente lasciare insoluto quest’ultimo…” (pag. 62)
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11 marzo 2023
“… la disoccupazione è un male materiale ma anche e soprattutto spirituale, sia per l’individuo sia per la collettività. La disoccupazione, infatti, “fa vivere gli uomini nel timore e (…) dal timore scaturisce l’odio”…” (pag. 64)
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15 marzo 2023
Io penso che il capitalismo non solo sia “strutturalmente incapace di assicurare la piena occupazione e un’equa distribuzione di reddito e di ricchezza” (pag. 64-65), ma che si ponga l’obiettivo esattamente contrario: quello di mantenere una quota parte di posti di lavoro sempre liberi e non occupati, in modo da poter contare su un esercito di lavoratori di riserva e porli così in costante competizione gli uni con gli altri, avendo così la possibilità di pagarli con retribuzioni basse, con orari di lavoro elevati e in condizioni di massimo sfruttamento.
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4 aprile 2023
Se ci prendiamo la briga di leggere uno ad uno gli articoli della nostra Costituzione, quella del 1948, possiamo renderci ben conto che la sua attuazione è stata da qualche decennio sostanzialmente disattesa e che essa risulta oramai stravolta; quasi carta straccia.
Basti pensare alle scelte di natura economica, specie a quelle che hanno riguardato il cosiddetto “mercato del lavoro”; qui già l’espressione “mercato del lavoro” dice molto sulla loro ispirazione teorica.
E questo è avvenuto ben prima che arrivassero al potere gli eredi diretti del fascismo, non solo ad opera di governi di centrodestra, ma addirittura ad opera di governi che si dichiaravano progressisti, in quanto espressione di un’area politica sedicente di centrosinistra.
Perfino ad opera di governi capeggiati da o comprendenti esponenti dell’ex PCI.
Questo per dire che ben pochi oggi in Italia sono legittimati a potersi stracciare le vesti, di fronte al pericolo dell’avvento di un nuovo fascismo.
Perché molti lo hanno preparato questo avvento; consapevoli o inconsapevoli che ne fossero, a questo punto, ha ben scarsa importanza stabilirlo.
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Trovo che uno dei punti deboli della nostra Costituzione sia quello di averla fondata sul “lavoro”.
Forse questo è uno dei punti che andrebbe rivisto alla luce delle grandi trasformazioni tecnologiche che ci sono state negli ultimi decenni, soprattutto a seguito della Rivoluzione informatica.
Questa ha, infatti, liberato (almeno potenzialmente) gran parte del tempo che gli uomini prima dedicavano (o, meglio, erano costretti a dedicare) al lavoro.
E poi forse bisogna chiedersi: l’uomo si realizza essenzialmente e principalmente nel lavoro?
Se la risposta a questa domanda resta affermativa, allora forse resta ancora valida l’affermazione della nostra Costituzione che fonda la Repubblica italiana sul lavoro.
Ma, se la risposta fosse adesso negativa, è venuto forse il tempo di dire che il nostro vivere sociale e politico dovrebbe fondarsi su altro e non più sul lavoro.
© Giovanni Lamagna
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