Diario politico (116)
di Giovanni Lamagna
sabato 2 maggio 2015
Il primo maggio ho avuto questo scambio di email con un caro amico, di cui preferisco mantenere l’anonimato, perché sicuramente lui così gradirebbe. La sua email commentava il mio “diario politico” (115). La mia era una risposta alla sua. Riporto questo scambio epistolare perché mi sembra anch’esso paradigmatico degli argomenti che sono presenti nel dibattito pubblico attualmente in corso sulla nuova legge elettorale.
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1 maggio 2015
Caro Gianni,
ti rispondo riservatamente perché non sono molto interessato a entrare in diatribe collettive (non per niente rifuggo da facebook e simili!).
Il tuo ragionamento è ineccepibile sul piano della logica formale. Ma in politica non tutto è così lineare.
Mi chiedo: votando con la legge uscita dalla sentenza della Corte, non si rischia un grave salto nel buio? Infatti, andando al voto con un proporzionale nudo e crudo, non si riuscirebbe a fare alcun governo e si andrebbe direttamente al caos. Chi ci guadagnerebbe? Solo la destra – che, è inutile nasconderlo, sotto varie etichette in Italia è maggioranza – e, dunque, qualcosa di ancora peggiore della deriva renziana. Forse a questo ha pensato Napolitano e a questo pensa Mattarella. E a questo ha pensato la Corte quando ha detto che, comunque, istituzionalmente il Parlamento non è delegittimato.
Il che naturalmente non toglie che quei cialtroni di parlamentari nominati stiano attaccati alla poltrona: su questo almeno siamo d’accordo!
Un abbraccio e buona festa del lavoro (che non c’è).
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1 maggio 2015
Caro *,
innanzitutto grazie del tuo commento.
So bene che il più delle volte la politica ha poco a che fare con la logica, almeno con quella formale.
Tu ti chiedi: votando con la legge uscita dalla sentenza della Corte, non si rischia un grave salto nel buio?
E io ti rispondo: può darsi; è una eventualità che non mi sento di escludere.
Ma a mia volta ti chiedo: non stiamo facendo anche così un salto nel buio?
Dici: andando al voto col consultellum si sarebbe avuto il caos? Può darsi.
Ma con l’italicum dove andremo? Molto probabilmente verso una forma di dittatura o, come la chiamano alcuni, di democratura, cioè di dittatura mascherata da democrazia.
Che cosa è meglio? Il caos o la dittatura?
Certo dopo il caos della repubblica di Weimar venne il nazismo; dopo il caos del biennio rosso in Italia venne il fascismo.
E forse, quando la democrazia si trasforma in un caos, è naturale, quasi inevitabile che sopravvenga (come ci insegnano alcuni filosofi della storia) una qualche forma di dittatura.
Ma, allora, è al fascismo o al nazismo (o a qualche loro versione aggiornata in chiave contemporanea) che ci dobbiamo rassegnare? Non lo so. Io personalmente non mi ci rassegno. Perlomeno non mi ci rassegno in modo inerte e silenzioso.
Ti chiedi ancora: chi ci guadagnerebbe (dal caos)? E ti rispondi: solo la Destra.
Al che io dico: può darsi; è molto probabile.
Il punto è che, quando si occupano ruoli istituzionali di massima garanzia (come quelli occupati ieri da Napolitano ed oggi da Mattarella) a mio avviso non si possono fare tali ragionamenti di convenienza politica: bisogna essere super partes. Punto e basta!
A meno di non temere il caos in sé. Preoccupazione del tutto legittima: questa sì!
Ma per evitare il caos (presumibile dopo un voto col consultellum) si potevano trovare altre soluzioni, diciamo così di compromesso politico/istituzionale.
A me in questo momento ne viene in mente una: si potevano creare due commissioni parlamentari, una al Senato e una alla Camera, formata da esponenti delle varie forze politiche, nominati con criteri rigidamente proporzionali (cioè non in base al numero dei deputati e senatori usciti dalle elezioni, ma in base al numero di voti presi alle elezioni da ciascuna forza politica: non considerando quindi il premio abnorme di maggioranza contestato dalla Corte), col compito di elaborare la nuova legge elettorale, con l’impegno delle aule a votare il testo uscito da queste due commissioni senza modifiche sostanziali e con l’impegno finale ad andare a nuove elezioni, appena la nuova legge elettorale fosse stata approvata.
Per le riforme costituzionali esse andavano senza dubbio rinviate al dopo nuove elezioni, col nuovo Parlamento non più delegittimato politicamente. Non mi pare che esse avessero ed abbiano tutto questo carattere di urgenza. Mi pare gravissimo, invece, che esse vengano realizzate proprio dal Parlamento più delegittimato (almeno politicamente) della storia della Repubblica.
Infine, quanto alle motivazioni che hanno spinto la Corte Costituzionale a confermare la piena legittimità istituzionale del Parlamento eletto nel 2013, io credo (o almeno così voglio sperare) che esse non siano state di ordine politico. Esse, a mio avviso, sono state solo ed esclusivamente di carattere giuridico/costituzionale. E su queste, come sai, io non ho obiezioni da fare.
Ma forse chiedere le scelte politiche di cui sopra agli esponenti politici che negli ultimi venti anni hanno “occupato” (uso non a caso questo termine) le nostre istituzioni era ed è davvero chiedere troppo. E, infatti, essi hanno seguito logiche del tutto opposte.
Probabilmente ci dobbiamo rassegnare. D’altra parte, cosa potremmo fare di diverso? Ma dire pure che non c’erano alternative non ce la faccio. Questo no!
Buon primo maggio pure a te!
Giovanni Lamagna