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Diario politico (112)
di Giovanni Lamagna
domenica 12 aprile 2015
L’uscita di Salvini di quattro giorni fa (“Cosa farei io al posto di Alfano e Renzi? Con un preavviso di sfratto di sei mesi, raderei al suolo i campi rom”) è senza alcun dubbio truce, violenta nella forma, nel linguaggio e per la cultura che sottintende.
Perciò inaccettabile. Non può dunque essere condivisa e sottoscritta da parte di coloro che si ispirano a valori di fratellanza, di solidarietà, di rispetto delle diversità. Ed io personalmente sono tra costoro.
Fatta questa debita premessa, è consentito però affermare in tutta franchezza che il problema posto da Salvini esiste, che è un problema serio, anche se il leader della Lega lo ha posto in una maniera del tutto sbagliata e inaccettabile; anche se la cultura politica della persona che lo ha posto non è condivisibile in nulla?
Ed è consentito affermarlo senza per questo essere aggrediti e tacciati di razzismo, xenofobia e intolleranza verso le diversità?
O è inevitabile che scatti, come un automatismo, il riflesso condizionato di una certa cultura di sinistra (e, perfino, cattolica), che è abituata ad affrontare i problemi in maniera esclusivamente ideologica e, quindi, demagogica?
O è inevitabile reagire al qualunquismo e all’odiosa violenza verbale di Salvini, senza manco entrare nel merito dei problemi e riconoscerne (realisticamente e non ideologicamente) le diverse sfaccettature, finendo quindi per dare ad essi risposte unilaterali, non articolate, non equilibrate e, quindi, incapaci di intercettare il senso comune e, forse, anche il buon senso?
Io personalmente penso che tutte le persone e tutte le subculture (all’interno di una determinata società) vadano rispettate e vada dato ad esse il massimo di libertà. Credo quindi che tale rispetto e tale libertà vadano riconosciuti anche ai rom. Il pluralismo è anche per me, quindi, un valore sacro.
Ma, proprio perché il pluralismo in una società laica è un valore sacro, esso per poter essere applicato si deve fondare su un principio base, che è questo: la mia libertà ha un limite laddove inizia la tua; e viceversa.
Penso che questo mio modo di intendere il pluralismo e la libertà possa essere universalmente accettato. O ci sono obiezioni? Ritengo di no.
Allora, se non ci sono obiezioni, credo che qui si pongano dei problemi con la cultura rom o, perlomeno con alcuni suoi aspetti. Rispetto ai quali i rom non possono assumere un atteggiamento di puro vittimismo. E una certa cultura di “sinistra” (o cattolica) non può dare risposte che sono di pura ideologia.
Se l’integrazione deve avvenire, occorre che ci si venga incontro da entrambe le parti: da parte di chi è maggioranza (senza dubbio), ma anche da parte di chi è minoranza.
La maggioranza ha il dovere umano e civile di rispettare e accogliere la minoranza con solidarietà e (sarebbe bello) perfino con fraternità.
Ma la minoranza non può pretendere di imporre alla maggioranza l’accettazione indiscriminata e acquiescente di usi e costumi che la maggioranza reputa socialmente, economicamente, culturalmente, civilmente, moralmente e, perfino, legalmente inaccettabili.
Credo che su questo si possa essere tutti d’accordo.
Allora la domanda che io pongo è la seguente: ci sono alcuni aspetti della cultura rom (nel senso di modi di vivere diffusi e consolidati tra i rom) che collidono oggettivamente con la cultura prevalente nella nostra società e che sono inaccettabili per questa cultura e che quindi questa cultura è normale, perfino legittimo, che persegua con i mezzi (anche con quelli della forza, della dissuasione e della coercizione) che la legge prevede?
A me pare di sì. Ne elenco alcuni:
– La tendenza a vivere in accampamenti degradati, in penose condizioni igieniche; e non solo per problemi economici o di discriminazione da parte della comunità stanziale (problemi che certamente non vanno ignorati, bensì affrontati e risolti), ma anche per una scelta culturale legata al nomadismo (che, manco questa, va ignorata);
– La tendenza al furto (anche se, in genere, piccolo); che non va considerata una caratteristica generalizzata, ma certo è abbastanza diffusa (e perfino teorizzata come scelta di vita) tra i rom;
– La tendenza all’accattonaggio, anche questa teorizzata e praticata da moltissimi rom, come modo normale (o almeno prevalente) di garantirsi un reddito;
– La tendenza a fare figli in un numero esorbitante rispetto alla possibilità concreta di farli crescere in condizioni economiche, igieniche, sanitarie dignitose;
– La tendenza allo sfruttamento del lavoro minorile;
Queste tendenze, che configurano una vera e propria antropologia (e questa descrizione non credo che possa essere giudicata semplicisticamente come discriminatoria o, addirittura, razzista; andrebbe semmai contestata con dati di fatto; ma, francamente, credo, sia difficile farlo) pongono problemi o no?
A mio avviso sì. E come tali vanno affrontati. Con soluzioni e metodi del tutto diversi e lontani da quelli (semplicisticamente, cinicamente, anzi odiosamente) avanzati da Salvini. Ma senza neanche il ricorso a sottovalutazioni o, addirittura, rimozioni, come troppo spesso da parti politiche, avverse (giustamente) a quelle di Salvini, si tende a fare.
Ad esempio, (e con questo entro nel merito della questione posta da Salvini) anche per me gli attuali campi rom vanno (gradualmente, ma con una programmazione decisa e credibile) eliminati; offrendo ovviamente ai rom delle soluzioni alternative, che rispettino la loro cultura, non si propongano di azzerarla, ma siano anche compatibili con quella della maggioranza della popolazione italiana, oltre che con la sua legislazione.
Questo tra l’altro è l’unico modo (serio) di togliere a Salvini argomenti per speculare sul diffuso malcontento nei confronti dei rom e impedire che questo (quantomeno comprensibile) malcontento diventi prima intolleranza, poi razzismo e, in ultima istanza, addirittura violenza.
P. S. Un mio amico, a cui ho fatto leggere in anteprima questo “diario”, mi ha fatto notare che i cinque elementi della cultura rom da me citati, non farebbero parte della autentica cultura rom, ma sarebbero piuttosto il risultato/conseguenza della discriminazione di cui nei secoli i rom sono stati fatti oggetto.
Non conosco la cultura rom al punto da poter controbattere convintamente la tesi del mio amico; ma, anche se fosse come lui sostiene, un dato è certo: quegli elementi fanno parte dell’attuale antropologia (prevalente) dei rom. In quanto tale, essa, a mio avviso, conferma il mio ragionamento e non lo smentisce.
Ragionamento che, oltretutto, non vuole perpetuare affatto la discriminazione nei confronti dei rom, ma mira semmai a ricercare soluzioni efficaci e radicali per porre fine ad essa. Per garantire ai rom condizioni di vita migliori di quelli nei quali essi vivono attualmente.