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Sulla riduzione del numero dei parlamentari.
L’immagine di Di Maio, il quale con un manipolo di pentastellati fuori dal palazzo di Montecitorio strappa uno striscione di carta molto grande su cui erano disegnate delle poltrone stile barocco (che si suppone volessero richiamare l’ancien regime) – diciamola tutta – è disgustosa, perché demagogica, qualunquista, ma soprattutto offensiva per il Parlamento, nel quale i protagonisti della sceneggiata pure siedono.
Innanzitutto i seggi a cui vengono eletti i parlamentari non sono “poltrone”, come da tempo i pentastellati li definiscono in maniera spregiativa.
Le “poltrone” sono posti di potere ai quali si briga per essere nominati; sono posti ai quali si arriva manovrando, usufruendo di raccomandazioni, in maniera clientelare; oppure per “diritto divino” o per “discendenza ereditaria”.
I seggi in Parlamento (ai quali si viene eletti attraverso democratiche votazioni) non possono essere assimilati a poltrone. Altrimenti si delegittima di fatto il Parlamento, che è, invece, per definizione il luogo della massima rappresentanza politica dei cittadini e, quindi, il luogo simbolo della democrazia.
Tagliando 315 parlamentari indubbiamente si realizza un risparmio in termini economici. Su questo non ci sono dubbi. Ma quale risparmio? Non certo uno di quei risparmi in grado di risanare seriamente e significativamente il bilancio dello Stato.
Quindi non uno di quei risparmi da mettere in cima alle priorità. Tra l’altro lo stesso risparmio (e, forse, anche maggiore) lo si poteva realizzare in modo diverso, ad esempio, tagliando le indennità dei parlamentari.
Ma, soprattutto, non un risparmio tale da giustificare i prezzi politici che invece l’operazione comporta. In primo luogo quello di aver allargato la forbice tra il numero dei rappresentanti e quello dei rappresentati. Ciò che rende ancora più complicato il rapporto diretto, la comunicazione il più possibile facile e frequente (e auspicabile), tra elettori ed eletti.
E questo è un prezzo significativo e importante per chi ci tiene alla partecipazione democratica e alla cosiddetta “democrazia diretta” o “democrazia di prossimità”.
Si potrebbe obiettare: l’attuale Parlamento è troppo elefantiaco; era giusto quindi snellirlo.
Ma è davvero elefantiaco un organo di rappresentanza che prevede per la Camera un rapporto eletto/elettori da 1 a poco meno di 100mila e per il Senato un rapporto da 1 a poco meno di 200mila? Non mi sembra proprio!
Anzi mi sembrano proprio questi i rapporti numerici minimi per garantire un normale ed efficiente canale di comunicazione tra elettore ed eletto.
Certamente la politica deve tener conto dei costi economici, visto che amministra tra le altre cose il bilancio dello Stato, e cercare di ridurre al minimo le inefficienze e gli sprechi.
Ma, appunto, i tagli in politica vanno fatti innanzitutto eliminando inefficienze e sprechi, non danneggiando ciò che è utile ai cittadini e ciò che è necessario al funzionamento della democrazia.
Perché bisogna essere consapevoli che il funzionamento della democrazia ha dei costi, anche economici, e che non si possono tagliare questi oltre una certa soglia, con la pena di danneggiare il funzionamento stesso della democrazia.
Altra obiezione: il popolo ce lo chiedeva, il popolo non ama i suoi rappresentanti, non ama il Parlamento e la politica in generale; li giudica luoghi di malaffare e quindi meno parlamentari ci sono, meglio è!
Argomentazione inaccettabile, che fomenta il qualunquismo e la demagogia, invece di aggredire il problema. Con questa logica tanto varrebbe allora abolirlo proprio il Parlamento o ridurlo ai minimi termini.
Il malaffare in politica o la indegnità di molti parlamentari non li si combatte riducendo il numero dei parlamentari. Anzi questa decisione potrebbe addirittura alimentare ancora di più la competizione tra i candidati e quindi lo spreco di risorse o i meccanismi di corruzione e di manipolazione dei consensi per arrivare ad essere eletti.
Li si combatte, invece, ridando dignità culturale ed etica alla politica, quindi all’impegno in essa, e soprattutto favorendo il più possibile la partecipazione appassionata dei cittadini.
Ora non mi pare che la riduzione del numero dei parlamentari, con tanta enfasi voluta ed esaltata da Di Maio and company, vada esattamente in questa direzione.
Anzi mi pare che vada proprio in direzione contraria. Perché avalla, legittima, anzi dà man forte, al qualunquismo distruttivo dei cittadini e li rende ancora più distanti dai luoghi della rappresentanza. Quindi ne scoraggia, di fatto, la partecipazione politica.
Giovanni Lamagna