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2 giugno 2019
Alcune (altre) riflessioni sul voto europeo di domenica scorsa.
Cosa ci dicono di significativo le elezioni europee di domenica scorsa, a parte il dato – di gran lunga il più rilevante e che ho già ampiamente analizzato nell’articolo che ha preceduto questo – del ribaltamento dei rapporti di forza tra M5S e Lega rispetto alle politiche dell’anno scorso?
1 .Cresce ulteriormente l’astensionismo, che è stato del 43,9%: di poco superiore (+2,6), rispetto alle europee del 2014 (quando era stato del 41,3%), di molto superiore (+16,8). rispetto alle politiche del 2018 (quando era stato del 27,1). Segno evidente che il tema-Europa non tira.
A mio avviso per due ragioni: – un poco perché l’Europa è vista (anche se erroneamente) come una realtà ancora lontana dalle nostre vite; – molto perché le politiche europee vengono viste come un qualcosa su cui può avere poca incidenza il voto di noi elettori in scadenze come quella di domenica scorsa.
- La Destra nel suo complesso (Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia) cresce spaventosamente in termini numerici. Passa dal 26,7% del 2014 e dal 37% del 2018 al quasi 50% di oggi .
Non solo: si radicalizza politicamente. Forza Italia cade in picchiata libera. Per converso crescono vertiginosamente la Lega (34,3% oggi, rispetto al 6,2% delle europee del 2014 e al 17% delle politiche del 2018) e (persino) Fratelli d’Italia (6,4% oggi, rispetto al 3,7% delle europee del 2014 e al 4,35% delle politiche del 2018. Lega e Fratelli d’Italia: due forze ultrasovraniste.
La sirena sovranista non avrà sfondato in Europa. Ma in Italia lo ha fatto eccome! Sbocco (io penso) di 25 anni di politiche fallimentari sia del centrosinistra che del Centrodestra.
Centrodestra di cui sia la Lega di Salvini che i Fratelli d’Italia della Meloni facevano parte già nel 2014, anzi da ben prima. Ma le cui responsabilità appaiono oggi del tutto obliate, perché fino all’anno scorso il centrodestra era ancora a guida e ad egemonia Berlusconi.
L’esaurimento anche anagrafico e quindi fisiologico del ciclo Berlusconi, ha quindi favorito enormemente l’ascesa politica di Lega e Fratelli d’Italia, facendoli apparire come delle vere e proprie novità, vergini di ogni passata responsabilità.
- Il PD non solo tiene elettoralmente, ma migliora il suo risultato rispetto alla ultime politiche. Solo in termini percentuali, però; non in termini di voti raccolti, che anzi sono un po’ diminuiti.
Questo dato si spiega innanzitutto col fatto che è cresciuto l’astensionismo complessivo rispetto alle politiche, ma esso ha penalizzato altre forze (in primis il M5S), non il PD: l’elettorato storico del PD si è dimostrato abbastanza fedele.
Inoltre si spiega anche con la logica del “voto utile”; per cui voti destinati potenzialmente alla sinistra più radicale sono confluiti (anche se a mio avviso in una misura molto limitata) sul PD per non andare dispersi.
Il voto raccolto dal PD sembra essere in controtendenza rispetto ai voti raccolti dai partiti omologhi (quelli socialdemocratici), che in generale hanno ottenuto performance modeste in quasi tutto il resto d’Europa.
Se non fosse che il PD in questo momento, a guardare bene le cose, somma i voti di un partito liberale con quelli di un partito socialdemocratico, avendo in sé le due anime di partiti diversi (tanto è vero che uno come Calenda li vorrebbe separati: alleati, ma separati). E questo spiega a mio avviso perché riesca ad ottenere risultati migliori di quello che hanno ottenuto altri partiti socialdemocratici europei.
Questa forza però contiene in sé una debolezza: fino a quando infatti questa composizione un po’ disomogenea si terrà unita e non imploderà? Se lo chiedono la maggior parte dei commentatori politici.
- Restano da analizzare le restanti frattaglie di voti, che si sono così suddivisi: il 3,1% a +Europa e Italia in comune; il 2,3% a Europa Verde; l’1,8% a la Sinistra; il 3,4% alle altre liste in competizione. Nessuna di queste liste ha ovviamente eletto deputati al Parlamento europeo, non avendo superato il quorum necessario del 4%.
- 1. Il voto dato a +Europa e Italia in comune può essere considerato un voto di segno liberaldemocratico. Quindi in prospettiva potrebbe andare a confluire nell’ipotetico (e per me molto probabile) costituirsi di un rassemblement omologo a quello di Macron in Francia, formato dagli adepti di Renzi e di Calenda (in uscita dall’attuale PD) e (perché no?) e dai transfughi di Forza Italia (dopo l’uscita di scena definitiva di Berlusconi).
Un’area significativa, niente male (forse l’unica area di centro rimasta dopo i recenti terremoti politici, che hanno polarizzato agli estremi lo scenario politico), la quale potrebbe ben presto attestarsi attorno al 15/20%.
Un’area progressista (potremmo anche dire di “sinistra”) sul piano dei diritti civili, ma moderata, se non decisamente conservatrice (potremmo dire quindi anche di “destra”) sul piano delle politiche economiche e dei diritti sociali.
- 2. Il 2,3% a Europa Verde sta a indicare una lieve ripresa anche in Italia di quest’area politica che in tutta Europa ha invece ottenuto importanti, significativi consensi, piazzandosi addirittura nei primi posti delle gerarchie tra i partiti (in Germania, ad esempio, i Verdi costituiscono il secondo raggruppamento politico dopo i popolari della Merkel).
Ci sarebbe allora da chiedersi come mai anche i Italia i verdi non hanno ottenuto analogo successo. La risposta, a mio avviso, sta nel fatto che quest’area in questo momento è fortemente presidiata dal M5S, che non bisogna dimenticarlo nasce come movimento politico fortemente ambientalista.
Se ne può dedurre che, almeno fino a quando il M5S terrà le sue posizioni elettorali, per quanto fortemente ridimensionate come lo sono state domenica scorsa, i Verdi in Italia non avranno un bacino elettorale significativo all’interno del quale pescare i loro consensi.
- 3. Il mancato raggiungimento del quorum da parte de “la Sinistra” era un risultato ampiamente pronosticato, ma la percentuale raggiunta (l’1,8%) è stata inferiore ad ogni più pessimistica previsione.
I fattori che hanno inciso su questo grave insuccesso sono solo in parte il fenomeno dell’astensionismo e l’orientamento per il voto utile. Il principale è che questa lista non aveva nessun particolare appeal: ne aveva ancora meno che nelle ultime tornate elettorali.
Essa era un improbabile accrocco (realizzato tra l’altro all’ultimo momento) di due forze (?) politiche oramai agonizzanti, senza nessuna seria e credibile prospettiva di tenuta dopo la scadenza elettorale, ma (soprattutto) figlio di un ceto politico che ha come sua preoccupazione (parlare di “ambizione” sarebbe troppo!) principale quella di garantirsi la propria personale sopravvivenza.
L’unica cosa davvero positiva di questo risultato è che con esso finalmente si azzera (ed io spero una volta e per sempre) la storia di quella che fu la sinistra del ‘900. Adesso (forse) sarà possibile davvero partire da capo. Perché non si potrà più partire dai cocci e dalle macerie, come si era provato a fare negli ultimi 30 anni con alterne vicende, con molti bassi e pochissimi alti, che però – a posteriori possiamo dirlo – sono serviti solo ad alimentare illusioni.
La bastonata di queste elezioni spero concluda definitivamente questa triste agonia.
Ciò che potrebbe generare energie del tutto nuove: quelle di chi non ha ambizioni di breve periodo (in altre parole la propria carriera politica), ma ha lo sguardo proiettato sul lungo periodo, consapevole che, ancora prima di costruire un soggetto politico nuovo della sinistra, è necessario elaborare un pensiero nuovo della sinistra, non più nostalgica del XX° (o, addirittura, del XIX°) secolo, ma decisamente e finalmente proiettata verso il XXI° secolo.
Giovanni Lamagna