Tag
alleanze, Berlusconi, Bersani, Bonafede, competenze, corpi, crescita, Davigo, De Masi, democrazia, democrazia diretta, democrazia rappresentativa, destra, Di Maio, difesa dell'ambiente, distribuzione della ricchezza, elettorato, elite, Forza Italia, Giorgio Napolitano, governo, Lega, lotta alla corruzione, Marco Conti, Mattarella, Movimento 5 Stelle, partito, PD, popolo, Prodi, Rodotà, sinistra, Slavini, sviluppo, voto europeo, Zagrebelsky
Cosa ci dice il voto europeo di domenica scorsa? (1)
Il voto di domenica non è stato una mareggiata. E’ stato un vero e proprio tzunami!
Il primo e maggiore dato che emerge è, ovviamente, il ribaltamento realizzatosi nei rapporti di forza, quasi speculare dal punto di vista numerico, tra Movimento 5 Stelle e Lega.
Segno evidente che questa alleanza anomala gialloverde ha (almeno finora) favorito molto di più i verdi (la Lega di Salvini) che i gialli (il M5S di Di Maio). Come avevano già ben evidenziato il voto in Abruzzo del 10 febbraio scorso e le successive tornate amministrative di inizio primavera.
Per cui (al contrario di quello che sostengono molti commentatori) io credo che al M5S convenga riflettere bene sulla sua convenienza a tenere ancora in piedi l’alleanza con la Lega.
Perché è vero che la eventuale crisi di governo e il probabile conseguente ricorso alle urne (niente affatto, però, scontato: bisognerà, infatti, vedere cosa ne penserà Mattarella al momento) li vedrebbero in un nuovo Parlamento fortemente penalizzati, cioè ridimensionati. Ma è anche vero che per il M5S continuare in questa innaturale alleanza comporterà (io almeno così la penso) la loro quasi sicura condanna all’estinzione.
Rompere l’alleanza in questo momento darebbe invece loro almeno la possibilità, (niente affatto sicura – certo! – ma quantomeno ipotizzabile) di confermare uno zoccolo duro di consensi (almeno nel breve termine): quello ottenuto appunto domenica scorsa.
Continuare, invece, a tenere in piedi l’attuale vigente contratto capestro con la Lega li logorerebbe lentamente, ma ineluttabilmente, e l’esito elettorale alle prossime politiche sarebbe con molta probabilità peggiore di quello che sarebbe se si andasse alle urne presto, cioè nei prossimi mesi, al più tardi in autunno.
Prima ho parlato di “zoccolo duro” del M5S. Cosa volevo dire?
Che il risultato raggiunto dal Movimento domenica scorsa può essere con buone ragioni considerato una specie di zoccolo duro, al di sotto del quale il Movimento (almeno nel breve periodo e se non fa ulteriori gravi cazzate) non potrà scendere.
Quali argomenti sostengono a mio avviso una tale tesi?
Il Movimento (né di destra né di sinistra, per sua definizione; in realtà, per mia definizione, un po’ di destra e un po’ di sinistra) ha, infatti, già perso a destra tutto quello che poteva perdere. L’elettorato socialmente e culturalmente (quindi strutturalmente) di destra che il M5S aveva imbarcato il 4 marzo 2018 è passato pari, pari alla Lega.
Come volevasi dimostrare, se una forza politica dice “io non sono né di destra né di sinistra” e poi fa cose di destra, essa è fatalmente destinata a perdere voti a destra, perché la gente che va a votare ad un certo punto preferisce votare direttamente l’originale (di destra) anziché la sua fotocopia (sbiadita). Questo lo abbiamo già verificato più volte in passato con l’elettorato del PD nel suo rapporto con Berlusconi e Forza Italia.
Ora, se va avanti nell’alleanza con la Lega, il M5S corre il rischio di perdere voti anche nella sua componente di sinistra, come in parte è già avvenuto in queste elezioni europee. Si veda la crescita (anche se di pochi punti) del PD. Pochi punti, ma (guarda caso!) i punti che bastano al PD per scavalcare il Movimento 5 Stelle.
In questa occasione l’emorragia di voti dal M5S al PD è stata tutto sommato modesta, anche se molto significativa sul piano politico/simbolico. Cosa succederebbe, se il M5S continuasse a piegarsi ai diktat sempre più feroci (visti i nuovi rapporti di forza nel Paese) della Lega? E’ facile prevedere che il piccolo smottamento a sinistra di queste elezioni diventerebbe una valanga alle prossime.
Con quale esito? Quello di eliminare dallo scenario politico l’elemento di novità (non tutte negative, anzi alcune decisamente positive) rappresentato dal M5S e di far rinascere l’equivoco del Partito democratico come unica forza vagamente di sinistra presente e viva in questo Paese. Esiti per me entrambi infausti.
Insomma il M5S, per avere ancora una speranza di frenare la sua discesa e poter poi riprendere un cammino di risalita, deve recuperare la sua anima originaria e far tesoro dei molti errori commessi in questi 10/15 anni di vita.
Deve recuperare e far brillare ancora più di prima le stelle della lotta alla corruzione, della difesa dell’ambiente per un nuovo modello di crescita e di sviluppo, di una più equa distribuzione della ricchezza, di un nuovo modello (più diretto e partecipativo) di democrazia, di un modo nuovo di intendere e fare politica.
Deve recuperare insomma la sua identità, che si è appannata seriamente nel corso dell’ultimo anno. Deve recuperare in altre parole la sua anima di sinistra, che era ed è preponderante (checché ne dicano molti miei compagni di sinistra), tanto è vero che ha tenuto, ha retto, anche nel confronto/scontro con la Lega (forza, invece, decisamente e connaturatamente di destra).
E deve affermarlo con chiarezza, senza più le ambiguità sciocche con cui era nato e con cui ci ha tenuto a presentarsi in tutti questi anni, la maggiore delle quali era: non siamo né di destra né di sinistra. E lo può fare (meglio) oggi che il Re (pardon, il Movimento!) è nudo, perché ha perso (ed io credo definitivamente), consegnandola (com’era naturale) alla Lega, la sua componente/zavorra di destra.
Questo è il primo e principale errore a cui il M5S deve porre rimedio. Ma ce ne sono anche altri, di cui deve prendere innanzitutto consapevolezza e poi eliminare quanto prima. Sono almeno cinque: proverò ad illustrarli.
- Finora il Movimento ha avuto la pretesa di porsi come rappresentativo dell’intera società. Questa pretesa corrisponde ad un errore teorico e pratico: nessuna idea e nessuna organizzazione sociale o politica può rappresentare l’universo mondo: se accontenta una parte sconterà l’altra (o le altre) e viceversa. Dunque ogni Movimento politico deve puntare a rappresentare una determinata parte della società: deve essere dunque (al di là del nome col quale vorrà definirsi) un “partito”.
- E siccome è difficile che una forza politica possa ottenere, almeno in una prima battuta, il 50% + 1 dell’elettorato, ogni forza politica (almeno in un sistema che non sia esageratamente maggioritario e, quindi, strutturalmente antidemocratico) deve puntare a costruire delle alleanze, se ambisce (come è naturale che ambisca) a entrare in un governo. Ovviamente le dovrà cercare tra le forze politiche più affini e contigue.
Il M5S nei suoi primi 5 anni di vita parlamentare ha rifiutato per principio (del tutto ottuso) ogni alleanza. Gravissimo errore fu quello di rifiutare le offerte, fatte da Bersani, di costituire un governo assieme al PD e alla sinistra nel 2013. Il M5S, a mio avviso, avrebbe dovuto accettare la proposta di Bersani, ponendo come unica (ma fondamentale e decisiva) condizione che il governo fosse stato presieduto da una personalità autorevole, estranea al PD e al Movimento, quindi al di sopra delle due parti e garante di entrambe; ad esempio un Rodotà o uno Zagrebelsky.
Nella legislatura apertasi dopo le elezioni del 4 marzo 2018 il M5S ha detto, invece, che si dichiarava disponibile indifferentemente ad un’alleanza sia con la Lega che con il PD. Anzi ha fatto capire chiaramente che avrebbe preferito la prima e solo in seconda battuta scelto la seconda.
Anche questo è stato un gravissimo errore! Lo spazio parlamentare non è un mercato di bestie, dove si possono comprare indifferentemente vacche o cavalli. In politica si fanno delle scelte (anche ideali) e queste devono essere orientate dai valori e dagli obiettivi che si vogliono raggiungere, non solo dalle possibilità offerte dai numeri.
- Il M5S si deve dare un’organizzazione strutturata democraticamente, fatta di rapporti in carne ed ossa e non solo virtuali, con sedi di discussione e decisione reali, materiali, e non solo informatiche. Ben strutturate e riconoscibili, nelle quali siano possibili (perché indispensabili) adeguati controlli e quindi sia massima la trasparenza.
La democrazia diretta può integrare ma non sostituire quella rappresentativa. La democrazia partecipativa è giusto che arricchisca quella rappresentativa, ma ha bisogno (anche) di luoghi reali e non (solo) virtuali di partecipazione. Nessun collegamento in rete (per quanto utile) potrà mai sostituire del tutto il collegamento/contatto (del tutto imprescindibile) dei corpi.
- Il M5S deve aprirsi di più, molto più di quanto non abbia fatto finora, al mondo intellettuale delle professioni e delle competenze. Il principio “una vale uno” è valido, sacrosanto (e pure presenta molti limiti!), quando si vota: in democrazia (purtroppo!) non siamo ancora riusciti (e penso non ci riusciremo mai) a trovare un metodo migliore per prendere le decisioni. Ma non vale assolutamente quando si tratta di definire le competenze.
Se io devo farmi un’operazione chirurgica delicata, non mi faccio operare dal primo che capita e, ancora meno, mi affido al meccanismo del voto o delle primarie on line; scelgo (dopo aver richiesto adeguate informazioni) le migliori competenze in campo. La stessa cosa deve valere quando si governa e, perfino, quando si formano le liste da presentare alle elezioni.
In troppe occasioni, invece, il Movimento ha dimostrato di essersi affidato a degli autentici sprovveduti. Quante gaffe, comportamenti goffi, scelte e decisioni improvvisate e inadeguate hanno caratterizzato finora la sua storia!
Questo il Movimento sembrava averlo capito quando fece una specie di referendum in rete per scegliere il suo candidato alla elezione del Presidente della Repubblica (quella che riconfermò il mandato a Giorgio Napolitano) e vennero fuori i nomi (nientemeno) di Rodotà, Zagrebelsky, perfino quello di Prodi: guarda caso, tutti nomi di chiaro orientamento progressista, non certo di destra (compreso quello di Prodi)! Ma poi non è andato avanti in questa opzione. In seguito ha ripreso a fare scelte improvvide.
Per fare pochi ma chiari esempi della tesi che sto qua sostenendo, mi chiedo: domenica ci sarebbe stato lo stesso giudizio degli elettori se, al posto di un Di Maio al ministero dello Sviluppo economico e del Lavoro, il Movimento avesse indicato il professor Domenico de Masi? oppure al ministero della Giustizia, al posto di Bonafede, il giudice Piercamillo Davigo? o, al posto di Toninelli al ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, il professor Marco Ponti (quello dell’analisi costi/benefici sulla TAV?
Insomma e per concludere, il tentativo (sacrosanto!) di superare la storica dicotomia popolo/élite non può significare “mandiamo i dilettanti allo sbaraglio”. Ci sono élite ed élite: ci sono élite che fanno solo il gioco delle élite e ci sono élite che sanno mettersi al servizio del popolo. A queste seconde élite anche un governo del popolo è giusto che faccia (anzi deve assolutamente) fare ricorso. Pena condannarsi al fallimento.
Saprà il M5S riflettere sugli errori che ho appena elencati, alcuni recenti, altri più antichi, legati alla sua stessa fondazione e nascita? E, soprattutto, saprà porvi rimedio? Non lo so. So solo che, se non lo farà, è già da oggi condannato ad una sicura e forse persino molto rapida estinzione. Tanto rapida come lo è stata la sua ascesa.
(continua; 1)
Giovanni Lamagna