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Diario politico (148)
di Giovanni Lamagna
20 giugno 2016
Commento a caldo sul ballottaggio a Napoli.
A Napoli ha vinto de Magistris, ma non ha trionfato de Magistris.
Sbagliano, quindi, i supporters del neoeletto e rieletto sindaco ad usare toni e parole trionfalistici. Non si può, infatti, parlare di trionfo in una città dove al secondo turno è andato a votare solo il 35,98% degli aventi diritto. Mentre al primo turno aveva votato poco più del 50%.
La vittoria di un candidato (per quanto larga essa sia in termini percentuali) può essere definita un trionfo solo quando è accompagnata da una ampia partecipazione al voto, solo quando è una festa della democrazia, quando cioè in qualche modo è legittimata anche dalla partecipazione di coloro che gli hanno votato contro.
Ieri questo, molto semplicemente, non è avvenuto a Napoli. Dove ha votato poco più di un cittadino su tre. E dove quindi il consenso dichiarato, esplicito a de Magistris è stato dato da appena un napoletano su cinque. Il che vuol dire che gli altri quattro o gli sono fortemente ostili o lo vivono con indifferenza.
Di quale trionfo, quindi, si può parlare in questa situazione?
Farebbero bene a diventarne consapevoli (e quanto prima) non solo tutti coloro che hanno votato de Magistris, ma anche (e direi soprattutto) coloro che lo hanno supportato entusiasticamente nel corso della campagna elettorale. Farebbero bene a diventarne consapevoli (ammesso che già non lo siano) lo stesso de Magistris e il suo più vicino entourage.
Perché adesso viene il più difficile: bisogna governare, a voler usare un eufemismo, una città complessa (e questo lo si sapeva già e abbondantemente), ma anche una città che se non è ostile in maggioranza certo non è neanche favorevole in maggioranza a de Magistris.
Si tratta di governare una città che in gran parte è apparsa indifferente alla contesa politica che si è giocata. E (come ho già detto nel commento a caldo dopo il primo turno) non sarà affatto facile governare una città simile.
Tanto più che dal risultato del voto al primo turno è uscita una rappresentanza politica in consiglio comunale che risulta essere piuttosto variegata e che pone molti e svariati dubbi sulla sua tenuta e compattezza.
Per cui sentiti auguri a de Magistris e a tutti coloro che lo hanno votato (io sono stato tra questi). Ma anche, se mi è consentito, qualche consiglio. Uno, in particolare: abbassiamo i toni! Evitiamo, ad esempio, slogan del tipo “amm’ scassat’!”.
Qua ieri nun amm’ scassat’ proprio niente. E, ammesso che l’avessimo fatto, adesso è venuto il tempo di ricostruire. E prima lo facciamo meglio è.
Ricostruire innanzitutto relazioni politiche e, prima ancora, umane, e, perfino, sentimentali. Con quella parte (maggioritaria) di Napoli che non è stata con noi in questa vicenda. Che non è solo Destra, Lettieri, PD, M5S o, peggio ancora, camorra.
Che non è certo una “mala Napoli”, ma è (non voglio dire tutta, ma almeno una buona parte di essa) una Napoli per bene, intellettualmente e culturalmente dotata, che semplicemente non ha condiviso il progetto e, in molti casi, soprattutto i toni, i modi, certi comportamenti del nostro sindaco.
In alcuni casi è addirittura una Napoli che cinque anni fa aveva appoggiato, spesso con entusiasmo, de Magistris e poi è rimasta via via delusa dalla sua azione amministrativa, fino a litigarci, fino a montare addirittura rancore verso la sua persona.
Questa Napoli, lungi dall’essere considerata nemica, va recuperata al consenso verso questa nuova Amministrazione. E ci sono molti modi per farlo. In questo de Magistris in prima persona (ma non solo lui) dovrà correggere parecchie cose di se stesso. Adesso possiamo dirlo, adesso che questa contesa è stata da lui vinta.
Se questo non dovesse avvenire (lo dico da subito, in tempi non sospetti, cioè al momento di una vittoria, perfino larga), la vedo dura.
E non solo per de Magistris, la sua giunta e la sua maggioranza in consiglio Comunale. Il che avrebbe importanza, ma pur sempre un’importanza relativa e circoscritta.
La vedo dura per la nostra città e il suo futuro, la vedo dura cioè per tutti noi, per ciascuno di noi. Il che ha un’importanza, se mi consentite, ben maggiore.