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1948, BCE, ceto politico, Confindustria, Costituzione, DC, destra, economia, Fitch, FMI, globalizzazione dei mercati, JP Morgan, Marchionne, Movimento 5 Stellle, PCI, politica, sinistra, sovrastruttura, struttura, visioni del mondo
23 ottobre 2016
Un argomento molto subdolo adoperato dai sostenitori del Sì.
Uno degli argomenti adoperati dai sostenitori del sì al referendum sulla nuova Costituzione è che oggi non ci sarebbe più la contrapposizione ideologica così dura, perfino feroce, che c’era nel 1948 tra i due partiti maggiori, la DC e il PCI, i quali non si fidavano l’uno dell’altro e quindi non volevano un sistema istituzionale con un esecutivo troppo forte, rispetto al quale uno dei due sarebbe stato condannato a fare un’opposizione inevitabilmente debole e, forse, a tempo indeterminato.
Ne consegue, per i sostenitori del sì, che un rafforzamento dell’esecutivo a danno del Parlamento, come quello previsto dalle riforme istituzionali su cui siamo chiamati a pronunciarci il 4 dicembre prossimo, non dovrebbe ingenerare gli stessi timori e sospetti che erano presenti, molto forti, e perfino giustificabili nel 1948.
Argomento subdolo e capzioso. Eppure del tutto falso, perché fondato su basi del tutto inconsistenti.
Infatti, sì è vero, oggi non ci sono schieramenti politici talmente alternativi tra di loro da ingenerare i sospetti e le diffidenze che esistevano nel 1948 tra i due partiti più grossi come erano allora la DC e il PCI. Oggi la Destra e la (cosiddetta) Sinistra corrispondono a due aggregazioni diverse del ceto politico, più che a due diverse visioni del mondo e, quindi, della società.
Lo stesso Movimento 5 Stelle si contrappone sia alla Destra che alla (cosiddetta) Sinistra per un modo diverso di intendere il rapporto con la politica, più che per una visione radicalmente diversa della società. Il M5S fa l’opposizione al modo di essere del ceto politico tout court, più che alle diverse visioni del mondo da esso rappresentato.
Ma questo non vuol dire che la società sia oggi diventata un tutto omogeneo, nel quale prevalgano più gli elementi di unità e di intesa che quelli della distinzione e anzi della vera e propria contrapposizione.
Anzi, forse, gli elementi della divisione e della conflittualità economica e sociale sono oggi paradossalmente (almeno in potenza) maggiori che nel 1948.
Nel 1948, infatti, avevamo sì, certo, una società lacerata e disgregata. Basti pensare che si usciva da una guerra tremenda e disastrosa, che aveva lasciato una nazione in macerie.
Ma è anche vero che un sentimento forte accomunava e teneva unito se non tutto il paese almeno la gran parte di esso: quello di avviare la ricostruzione e di non ripiombare mai più nel buio da cui si era appena usciti.
Oggi, invece, abbiamo una società in cui l’1% (o poco più) comanda ed ha in mano il grosso della ricchezza e l’altro 99% (o poco meno) è costretta ad obbedire, accontentandosi delle briciole che cadono dalla mensa dei ricchi.
Ma soprattutto oggi comanda l’economia. La politica ne è semplice ancella.
Nel 1948 la politica svolgeva invece ancora un ruolo. La contrapposizione tra le forze politiche aveva un peso forte proprio perché la politica contava e decideva. Anche nella sfera dell’economia.
Oggi, con l’avvento della globalizzazione e con l’egemonia dei mercati finanziari, questo scenario è profondamente mutato. Il rapporto di forze tra politica ed economia si è radicalmente capovolto a favore dell’economia e a svantaggio della politica.
Quindi dire “oggi nessuna delle forze politiche ha più molto da temere dalle altre” significa dire da un lato una cosa vera. Infatti, oggi le forze politiche si assomigliano un po’ tutte e sembrano dire tutte più o meno le stesse cose, con piccole sfumature di differenza. La loro contrapposizione è dunque più apparente che reale, più di forma che di sostanza, più di sovrastruttura che di struttura.
Ma significa anche dire una cosa profondamente falsa e fuorviante. Infatti, oggi la contrapposizione non si pone più tra le diverse forze politiche, ma tra l’economia, che domina incontrastata, e quel poco che resta di vera politica, fortemente minoritaria e in difficoltà, che prova ad opporsi (come Davide con Golia) allo strapotere dell’economia.
Per questo non è diventata affatto meno forte l’esigenza di dare rappresentanza a tutte le voci presenti nella società. Anzi questa esigenza è diventata paradossalmente ancora più forte, perché si tratta di dare voce a chi oggi è economicamente e socialmente oppresso e corre il rischio di rimanere definitivamente schiacciato all’interno di un sistema che tende ad assimilare e ad omologare tutto e tutti.
Che poi sono i più. Anche se, purtroppo, nella loro grande maggioranza ne hanno una coscienza appena avvertita, se non addirittura inesistente.
Sarà un caso che i soggetti che più chiaramente e nettamente si sono schierati a favore della riforma della Costituzione su cui andremo a votare il 4 dicembre prossimo sono i grossi potentati economici nazionali e internazionali, a cominciare da Marchionne alla Confindustria italiana, dal FMI alla Banca Centrale Europea, passando per le più grosse agenzie di rating americane, quali JP Morgan e Fitch?
Giovanni Lamagna