Diario politico (147)
di Giovanni Lamagna
Risposta di Massimo Recalcati alla mia lettera aperta e replica del sottoscritto.
15 giugno 2016
Carissimo Giovanni,
grazie, come sempre, per l’attenzione che mi dedica.
Lei mi “rimprovera” di non coordinare sufficientemente l’analisi teorica con il giudizio sull’attualità politica supponendo – sia detto senza alcuna polemica – che la sua analisi del cosiddetto “renzismo” sia quella giusta, non suscettibile, a sua volta, di critica.
Io penso che l’accanimento della sinistra – alla quale io mi sento di appartenere – contro Renzi (è di oggi l’affermazione di D’Alema di votare per la Raggi pur di andare contro il governo Renzi) è speculare alla difficoltà di Renzi di dialogare costruttivamente con essa. Sono purtroppo due facce della stessa medaglia che stanno imballando il progetto autenticamente riformatore di questo governo.
Non posso entrare nel merito delle questioni che lei solleva (noto solo che riforme che attendevano da anni il loro compimento si sono compiute sebbene imperfettamente, che la lotta per una Europa diversa da quella delle banche appartiene al dna del PD, che la battaglia a favore delle preferenze non è mai stata una battaglia della sinistra, che la soppressione del bicameralismo è un passo avanti che tutti attendevamo da anni, ecc., ecc.).
Sarò franco: la caricatura del renzismo come cesarismo e come prolungamento del berlusconismo non mi ha mai convinto e la trovo grossolana e ideologica.
La vera partita, a mio modestissimo giudizio (non si dimentichi che io faccio lo psicoanalista e non sono un politico!), è tra una sinistra capace di governo e una sinistra massimalista che in tutti questi anni non è stata in grado di produrre nulla se non una fedeltà sterile e senza dialettica ai propri principi ideologici.
Gli esempi sarebbero infiniti. Non me ne voglia. Si tratta, per farne almeno uno, di quella fedeltà incarnata paradigmaticamente dal gesto di Bertinotti che fece cadere forse il migliore governo del dopoguerra. E’ l’esatto contrario del gesto di Freud che lei rammenta così lucidamente.
Con tutta la mia stima,
suo, Massimo Recalcati
La mia replica alla lettera di Massimo Recalcati del 15 giugno scorso.
19 giugno 2016
Carissimo professor Recalcati,
grazie a lei dell’opportunità che mi offre per tornare su questioni che (lo avrà capito) mi stanno molto a cuore. Come penso lo siano anche a lei e non solo a lei.
E’ questo uno dei motivi per cui ritengo utile rendere aperto e pubblico questo nostro scambio.
Vado per punti.
1)Naturalmente la mia analisi del “renzismo” è la “mia” analisi del renzismo. Non pretendo né che sia l’unica possibile (cioè quella indiscutibilmente giusta e tutte le altre sono sbagliate a prescindere), né che sia “non suscettibile” di critiche.
Ovviamente, essendo la “mia” analisi, essa si fonda su qualche convinzione (spero non superficiale) e, quindi, la sostengo con forza. Disposto sempre, però, a confrontarmi con analisi diverse ed anche a rivedere le mie posizioni, se, nel confronto, mi dovessi convincere che esse (in parte o in toto) non reggono alle eventuali critiche.
Credo che questo sia il modo giusto di approcciarsi in un dialogo/confronto, se non vogliamo che esso sia un falso confronto o un dialogo tra sordi.
2) Lei parla di accanimento della sinistra (immagino PD) contro Renzi. Io non ho particolare simpatia per la sinistra PD, meno che mai per un suo storico (forse il più autorevole, oltre che storico) esponente, Massimo D’Alema.
Ma (converrà) l’accanimento della sinistra PD contro Renzi è quanto meno consequenziale al progetto renziano (tra l’altro esplicitamente dichiarato, oltre che praticato) di rottamare quella sinistra.
E “rottamare” nel mio lessico non equivale a contrastare dialetticamente una certa posizione politica. Cosa del tutto legittima in democrazia. “Rottamare” vuol dire delegittimare, anzi azzerare, distruggere, annientare l’avversario politico. O mi sbaglio?
Se non mi sbaglio (come credo), allora le chiedo: cosa avrebbe dovuto fare, secondo lei, l’opposizione interna al partito democratico? Stare supinamente al gioco di Renzi? Farsi “rottamare”, cioè annientare, senza nemmeno provare a reagire e a contrastare l’obiettivo (principe) del segretario?
E’ ovvio che adesso le due posizioni sono, come dice lei, “due facce della stessa medaglia”. Ma perché, quando parla di una, la bolla come “accanimento”, mentre sull’altra non esprime nessun giudizio, come se questa se ne fosse stata buona, buona a portare avanti un progetto politico e l’altra avesse avuto come unico scopo quello di boicottarlo?
3) Sul “progetto autenticamente riformatore di questo governo” ci sarebbe molto da dire. Ma ripeterei molte delle cose che ho già scritto nella precedente lettera. Ne avrei molte altre da aggiungere. Ma temo che le ruberei troppo tempo e soprattutto che lei poi non avrebbe modo e voglia di “entrare nel merito delle questioni” da me sollevate. E allora il mio diventerebbe un soliloquio e perciò me/glielo risparmio.
Un’unica osservazione su questo punto, che in un certo senso riassume anche le altre. Pure Berlusconi faceva ricorso continuamente alla parola “riforme”. E non credo che in quel caso lei riconoscesse legittimità all’uso di questa parola. Come vede, non basta che qualcuno dichiari continuamente di voler riformare questo e quello per riconoscergli di avere un “progetto autenticamente riformatore”.
D’altra parte chi ce le chiede da anni queste riforme? L’Europa (questa Europa, non certo l’Europa di Altiero Spinelli!), il FMI e agenzie collegate alla grande finanza, come la J P Morgan. Crede che questi tre soggetti, per fare solo tre esempi, perseguano un “autentico progetto riformatore” per il nostro Paese? E, se non lo crede, come io penso, perché dovrei allora condividere il loro “progetto riformatore”?
4) E’ del tutto evidente che su Renzi io e lei abbiamo opinioni del tutto diverse. Lei prova simpatia (non so se più istintiva o più ragionata o tutte e due le cose) e lo ha dichiarato in più occasioni. Io provo (lo confesso) una istintiva e ragionata antipatia. Questo non mette in discussione la mia stima nei riguardi del professor Recalcati. Ma mi pone qualche domanda, questo sì. Che le giro.
Una in particolare, a voler essere sintetico. Come fa l’autore de “Il complesso di Telemaco” (che è un inno al figlio che va oltre il padre, “supera”, trascende il padre, non se ne sente prigioniero né tantomeno succube, ma del padre si sente giustamente debitore di un’eredità non tanto materiale quanto soprattutto simbolica) a provare stima e simpatia per un personaggio che, almeno a mio avviso, è l’opposto di Telemaco, in quanto ha fondato il suo progetto politico sull’idea della “rottamazione”, che è l’esatto opposto (se ho letto e interpretato bene il suo libro) del debito simbolico di riconoscenza, che lega inevitabilmente ogni figlio al padre, se da lui vuole realmente, autenticamente (e non superficialmente e banalmente) “liberarsi”, per emanciparsi e trovare la sua strada in autonomia? A questa domanda non riesco francamente a trovare un risposta.
Quanto alla “caricatura del renzismo come cesarismo e come prolungamento del berlusconismo” che non la convince e che lei trova anzi “grossolana e ideologica”, non voglio persuaderla della sua giustezza, e, quindi, non ci provo nemmeno: ci rinuncio.
Anche perché, con gli anni (che oramai sono molti), mi sono venuto formando l’idea che ognuno di noi nei suoi giudizi (soprattutto politici, ma, forse, non solo) in fondo, in fondo parta da un pregiudizio. Che precede e, forse, anche ci nasconde i fatti (o, almeno, alcuni fatti). E questo pregiudizio è difficile che venga scalfito dagli argomenti altrui. Nel caso suo questo pregiudizio nei confronti di Renzi è positivo, nel caso mio è negativo.
Voglio solo segnalarle alcuni fatti, che a me sembrano inoppugnabili. Anche se so bene che lei potrebbe segnalarmene altri e opposti, a suo giudizio (o pregiudizio) altrettanto inoppugnabili. I fatti sono i seguenti:
– Alfano prima e Verdini poi hanno deciso di appoggiare Renzi perché hanno detto e dicono che Renzi ha fatto le cose che Berlusconi non era riuscito a fare.
– Berlusconi mirava a ottenere un consenso trasversale (convinto che il suo governo agisse per il bene e nell’interesse di tutti, persone e ceti sociali anche opposti) e si meravigliava, stupiva di non riuscire ad ottenerlo; perciò arrivava a considerare “ingrati” o, addirittura, stupidi quelli che non glielo accordavano.
Renzi mira a realizzare un qualcosa di simile, il governo della Nazione, un governo che dovrebbe nelle sue intenzioni mettere d’accordo tutti gli interessi in gioco, Marchionne e i sindacati, giovani e vecchie generazioni; e peggio per chi non lo capisce!
Che, se non è l’esatto opposto, certo è una cosa molto diversa da un governo di sinistra, per quanto sbiadita possa essere, perché questa per sua natura confliggerebbe con la destra e non ne cercherebbe in qualche modo il consenso.
Vede qualche differenza tra le intenzioni del primo e quelle del secondo?
– Non ci sono dubbi che ci siano molte differenze nel carattere, nello stile e nella personalità dei due personaggi. Ma le risulta così difficile cogliere anche le molte analogie? O le cogliamo solo io e quelli come me appartenenti ad una sinistra “grossolana ed ideologica”?
5) Anche io, come lei, non faccio il politico di professione. Per molti anni ho fatto l’insegnante ed ora sono (felicemente) in pensione. Guardo e partecipo alla vita politica con la passione disinteressata di un cittadino attivo, che cerca di farsi un’opinione consapevole e non superficiale. Non ho altri obiettivi e scopi. E però mi sento pienamente responsabile dei giudizi che do.
Il mio giudizio sulla sinistra (di cui anche io, come lei, mi sento parte, anche se, almeno nel mio caso, più a livello di idealità che di fattualità) è che oggi essa semplicemente non esista.
Oggi lo scenario politico italiano si divide, infatti, tra:
– una Destra rissosa e divisa, ma comunque ben definibile (la Lega + Fratelli d’Italia da una parte e Forza Italia + i gruppi che fanno capo ad Alfano e Verdini dall’altra);
– un Centro magmatico e trasversale (il PD, una specie di Democrazia Cristiana post litteram), che è privo di un vero e autentico progetto di società, che non sia una pura e semplice amministrazione dell’esistente, o che, quando fa le cosiddette “riforme”, le fa di destra (vedi, per fare un solo esempio, il Jobs act);
– una galassia indistinta e poliforme (che non è né di sinistra né di destra, anche se è un po’ dell’una e un po’ dell’altra), tenuta insieme da un grande diffuso malcontento e dalla conseguente protesta verso l’esistente (il M5S).
In questo quadro essenziale la Sinistra (come io la intendo e come forse anche lei la vorrebbe) semplicemente non esiste più. Almeno a livello di rappresentanza politica. Quella che si definisce tale è più ceto politico che popolo reale Questo popolo è oramai evaporato, ridotto a percentuali minime, residuali e del tutto marginali.
Quella che lei definisce “sinistra capace di governo” ha assunto per me i paradigmi nel migliore dei casi dell’amministrazione contabile dell’esistente (quello che ci chiede l’Europa: rientrare con i conti), nel peggiore del riformismo a parole e del controriformismo nei fatti: vuole, infatti, “riformare” ma per peggiorare (vedi lo statuto dei lavoratori, vedi la Scuola, vedi le pensioni, vedi la Sanità…) non per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori e dei ceti meno abbienti. Come la storia degli ultimi due/tre decenni dimostra ad abundantiam.
La sinistra che lei (e non solo lei) definisce massimalista in cosa poi sarebbe massimalista? Se chiede cose del tutto socialdemocratiche, quindi (fin troppo) moderate, in perfetta continuità con la cultura politica delle socialdemocrazie europee (ovviamente quelle del “trentennio aureo” postbellico, non di certo quelle odierne, che oramai sono finite tutte nella deriva neoliberista).
In realtà i problemi della Sinistra (che molti, tra i quali lei, si ostinano a definire massimalista) non sono, a mio avviso, il suo (presunto) massimalismo (che esiste solo nella fantasia dei massmedia, per i quali tutto ciò che si oppone all’esistente sarebbe di per sé massimalista) quanto, in primo luogo, la scarsa credibilità dei suoi esponenti (della loro coerenza e dei loro stili di vita) e poi, in secondo luogo, la incapacità acclarata (almeno finora) di costruire dalle fondamenta (come sarebbe necessario) e non semplicemente restaurare (come già si è provato a fare, ovviamente senza successo) una cultura politica radicalmente nuova, visto che della vecchia cultura di sinistra la storia ci ha oramai lasciato in eredità solo macerie.
Fin quando non ci sarà questa nuova cultura politica io personalmente (mi sembra di capire al contrario di lei) mi sentirò orfano di una vera rappresentanza politica. E, alle elezioni, seppure andrò ancora a votare (finora però ci sono sempre andato), mi orienterò su quello che al momento mi sembrerà il meno peggio o quello che mi sembrerà il più adatto a contrastare ciò che ritengo un pericolo per la democrazia o quello che meglio ne potrà assicurare la tenuta, se non proprio l’avanzamento o quello che potrà favorire le condizioni più adatte alla nascita di quella nuova cultura politica che auspico e per la quale, nel frattempo, mi sento già impegnato a lavorare.
D’altra parte non penso (non l’ho mai pensato) che tutto si risolva mettendo (una tantum) una scheda nell’urna elettorale o che questo possa bastare per sentirsi l’anima in pace come cittadino.
Mi perdoni il tempo che le ho rubato. Suo,
Giovanni Lamagna